Il capitano ordina a Pampaloni di precederlo, gli spara un sol colpo alla nuca, colpo che sfiora la colonna vertebrale e la carotide; cade a terra stordito e sanguinante, ma non morto. Sente contemporanemente la mitragliatrice che uccide i suoi compagni e gridare, in quell’atto finale, due parole sole: “Mamma, mamma, Dio, Dio!”. Prima del salto verso l’ignoto, si aggrappano alle certezze ultime, mondo spirituale e mondo materiale si toccano in un’ultima invocazione, epilogo delle mani di Adamo e Dio nella Cappella Sistina.
Dopo 10 minuti i nazisti, sfamata la vendetta, se ne vanno cantando.
A distanza di anni, scrive Angelo Emilio: “Quello che l’uomo può essere capace di compiere fa paura e se oggi Dio vuole che io sia qui a raccontarlo è perchè possa testimoniare il dolore che deriva dalla guerra, e da questo si possa comprendere la necessità della pace. La vita umana è un dono da custodire non una proprietà da conquistare. La dignità di ogni individuo è sacra perchè Cristo ha insegnato che Dio ha fatto l’uomo a Sua immagine e somiglianza. Non si può denigrare la vita: non ne ha diritto nessun uomo. Neppure il carnefice ha diritto di essere tale perchè anche lui è uomo e anche la sua vita è un dono”.
Nelle sere seguenti la strage, dalle isole vicine di Itaca, Zante, Santa Maura si vedevano dei grandi falò bruciare e innalzarsi colonne di fumo nere; a chi si interrogava su che cosa stesse succedendo, qualcuno rispose: “È la divisione Acqui che va in cielo”. Le loro scintille divine brillano ancora.
Fiorenza Cirillo, 29 agosto 2021