Il green pass è legge dello Stato, il quale è in Italia uno stato democratico. Esso va perciò accettato, senza ribellismi o proteste. Proprio perché viviamo in uno Stato democratico, però, essa va anche discusso nel modo più libero e totale possibile, senza che nessuno censuri o gridi al sabotaggio. Le obiezioni sono volte a valutarlo e a porre sul tavolo le varie questioni che vi si legano per poter poi permettere al legislatore di tenerne conto prima di assumersi, come è giusto che sia, le sue responsabilità.
Altro che libertà, è un obbligo
In questi giorni, accanto alla forte e solita presenza di un’ala dogmaticamente passista (che spesso non si accorge di essere speculare e complementare a quella dei no vax), abbiamo, seppur sotterraneamente, assistito a una discussione su costi e benefici abbastanza animata. Me ne tengo fuori perché su tutte le questioni empiriche ci vorrebbero dati e conoscenze precise di cui personalmente non sono in possesso. Quello che però mi sembra opportuno mettere sul tavolo della discussione, è però anche un tema che passa quasi sempre in secondo piano, il che è sicuramente un male: le conseguenze che il lasciapassare potrebbe avere, e che forse già ha, sulla qualità, e quindi sulla forza, della nostra democrazia.
In quest’ottica, o ordine di discorso, quello che sicuramente si può dire è che, dal punto di vista della dottrina dello Stato di diritto, un ragionamento proprio non regge ed è quello che suona pressappoco così: il passaporto è un indice di libertà perché fra l’altro ci libera dall’obbligo vaccinale. A parte che lo stesso presidente del Consiglio non ha escluso per principio questo ulteriore passaggio, il fatto è che, al contrario, a me sembra che proprio un obbligo chiaro e preciso, se ce ne fossero le condizioni e le possibilità, sarebbe preferibile perché più confacente alla natura dello Stato democratico.
Il ruolo dello Stato
Come è noto lo Stato moderno, o di diritto, ha preteso fondarsi e giustificarsi immaginando un “patto” o un “contratto” coi cittadini in base al quale questi ultimi cedono la loro sovranità, o una quota parte di essa, in cambio della sicurezza che ne ricevono. Più che di una generica protezione, lo Stato deve farsi garante proprio della vita degli individui, presumibilmente intesa nel senso pieno e proprio dell’espressione, quindi non come mera sopravvivenza biologica. È chiaro che lo Stato, per raggiungere questo suo fine, usa la coercizione e gli obblighi. Ma è proprio quello che, per il fine voluto, i cittadini pretendono da esso. Se quei fini vengono distorti, anche in Hobbes, teorico dello Stato assolutista, i cittadini hanno il diritto di rovesciare lo Stato a cui hanno delegato a una certa condizione il potere che è in capo a ognuno di loro e cioè tutti. Questo presuppone che il rapporto resti in ogni momento paritario, essendo lo Stato un mero facente funzione per conto terzi, cioè di coloro a cui spetta la sovranità. È per questo motivo che lo Stato può obbligare certo, ma assumendosene fino in fondo le responsabilità. Politiche, ovviamente, e non morali. Non può usare altri e indiretti mezzi per raggiungere il suo scopo. È da qui che nasce la diffidenza del liberale verso ogni paternalismo di Stato, verso ogni Stato che voglia farsi pedagogo, verso lo Stato etico o che semplicemente si proponga, come nel nostro caso, di realizzare una particolare morale usando ora il bastone e ora la carota e quindi dividendo i cittadini in buoni e cattivi.
Il lasciapassare è punitivo
Ora, il green pass potrebbe dare adito invece a credere che, dietro il legislatore, ci sia proprio un intento di questo tipo: educativo, pedagogico, fatto di meccanismi premiali per chi si comporta bene (il vaccinato) e puntivi per il resto dei cittadini. In un rapporto quindi non paritario con i cittadini, che vengono usati in qualche modo come mezzo e non come fine in sé. Il silenzio e l’inconsapevolezza su questo punto, anche di tanti che a torto o a ragione si definiscono liberali, è una ulteriore dimostrazione, a mio avviso, della crisi, e forse del tramonto, dello Stato come lo si è concepito in epoca moderna o età liberale. Un tramonto che sta forse nei fatti piuttosto che nelle intenzioni dei protagonisti.
Non so se questo processo sia una “deriva”, se invece sia inevitabile o addirittura foriero di progressi. Credo che però una maggiore consapevolezza di tutti possa evitare scelte avventate: lo Stato moderno comunque ci ha garantito una certa libertà, e questo nucleo forte non va assolutamente perduto con falsi ragionamenti. La dimostrazione che siano tali tocca in primo luogo agli intellettuali e alla classe colta in genere. Questo e non altro si chiede loro: non certo di adeguarsi al sentire comune per pigrizia o quieto vivere o, al contrario, alzare barricate e scendere in piazza a manifestare e a gridare slogan banali e fuorvianti.
Corrado Ocone, 19 settembre 2021