La Scala di Milano inaugura la nuova stagione teatrale con il Don Carlo, alla presenza di autorità, vip e personalità del mondo dello spettacolo, dell’arte e della cultura. Tuttavia, in maniera del tutto inaspettata, il protagonista assoluto della serata è un giornalista 65enne semisconosciuto, tale Marco Vizzardelli, il loggionista che, appena terminato l’inno di Mameli, si è abbandonato al grido liberatorio “Viva l’Italia antifascista”. Una frase a primo impatto scontata, che tuttavia ha regalato un insperato momento di celebrità al giornalista una volta assurta agli onori della cronaca, e ciò, nonostante la sua apparente banalità.
Del resto, come non essere d’accordo con Vizzardelli, dal momento in cui la nostra stessa Costituzione si erge su profonde radici antifasciste. C’è veramente poco da obiettare e di cui dover discutere. Ragion per cui, stupiscono, e non poco, le numerose prese di posizione che si sono susseguite in queste ultime ore, tanto da destra, come se il loggionista non avesse pronunciato una frase condivisibile da ogni cittadino di buonsenso, quanto da sinistra, dove, come di consuetudine, si cerca in ogni modo possibile di trasformare il Vizzardelli nel paladino della lotta contro un regime inesistente. E questo francamente non può che suscitare ilarità. Sembrerebbe quasi come se a sinistra sentissero, di tanto in tanto, un disperato bisogno di rievocare il fantasma di un totalitarismo che ormai esiste solo nelle loro paure e nei loro pregiudizi. Un po’ come ululare alla luna, insomma. Un esercizio tanto inutile quanto controproducente, che finisce inevitabilmente col ridurre ogni cosa alla solita sfrenata, ma sterile, ricerca del fascismo a tutti i costi.
Orbene, intendiamoci: quella di Marco Vizzardelli è stata una provocazione senz’altro poco elegante, sicuramente evitabile, ma comunque lecita, in quanto libera manifestazione dell’opinione di un libero cittadino. Averlo voluto necessariamente identificare è risultata, pertanto, una scelta poco utile alla causa e oltremodo esagerata. Allo stesso modo, a destra, avrebbero tranquillamente potuto evitare di dare sfogo a qualsivoglia forma di indignazione connessa all’ormai celeberrimo episodio, sottraendosi, altresì, dall’amplificarne ulteriormente la ricaduta mediatica.
Perché Vizzardelli, non ce ne voglia, in questa specifica occasione non ha dimostrato né di possedere particolari talenti, né tantomeno ha fatto nulla di così originale da poter meritare simili celebrazioni. Il loggionista si è semplicemente limitato a manifestare ad alta voce un sentimento quasi unanimemente condiviso nel paese. Dove stia l’eccezionalità del gesto francamente non si capisce. Così come si stenta a comprendere il motivo per cui, a sinistra, si debba necessariamente rivendicare l’antifascismo a ogni occasione utile. Probabilmente, la sfrenata esigenza dei progressisti nostrani di evocare con una tale frequenza lo spettro del fascismo, unitamente a quella di costruire improbabili personaggi da sventolare poi come bandiere in nome di un antifascismo di maniera, risponde all’impellente necessità di sopperire alla totale assenza di proposte e strategie politiche.
Contrariamente, non si spiegherebbe perché continuare a spettacolarizzare un episodio cotanto normale. Marco Vizzardelli ha detto un’ovvietà, e in Italia non c’è il pericolo fascismo. Tutto il resto è farsa.
Salvatore Di Bartolo, 10 dicembre 2023