La finzione dello Stato salvatore

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Secondo Angelo Panebianco tutte le democrazie liberali corrono il rischio di diventare regimi illiberali. L’Italia, in particolare, è esposta al pericolo maggiore per la storica fragilità della sua democrazia liberale che, dominata da culture politiche illiberali come cattolicesimo e comunismo, ha prima dato vita durante il periodo della “guerra fredda” alla partitocrazia e successivamente, dopo la fine della Prima repubblica, ad un regime istituzionale in cui il gioco era condotto da tecnici, burocrati e (soprattutto) magistratura. E nella cosiddetta Terza repubblica populista? Proprio qui è il pericolo che – al contrario di quanto si dice abusando della famosa frase di un poeta tedesco che amava ripetere che “là dove c’è il pericolo cresce ciò che salva” – ci espone alla possibilità molto più prosaica di cadere dalla padella nella brace: ossia l’intesa di populismo e burocrazia, sovranismo e tecnica, nazionalismo e giustizialismo.

In realtà, il pericolo paventato dall’editorialista del Corriere della Sera, pur con tutte le cautele, i distinguo e le gradazioni del caso, è già una realtà. Infatti, una volta tolto di mezzo il finto schermo della posticcia post-moderna lotta di classe tra élite e popolo; una volta che il popolo, andando al governo, si è fatto per sua stessa volontà generale élite, cosa c’è nei fatti se non un’intesa tra populisti e burocrazie amministrative?

Il cosiddetto “governo del cambiamento”, del resto, ha subito dimostrato di non cambiare nulla e di adeguarsi alle prassi amministrative avendo un unico obiettivo: restare al Potere e, una volta conquistato, non mollare l’osso. Rispetto alla precedente padella tecnico-burocratica – quella che l’élite populista identifica in Monti e l’Europa – non è cambiato proprio nulla: tassati eravamo ieri, maggiormente tassati siamo oggi e ancor più tassati saremo domani. Il fisco, come forse avranno intuito gli elettori della Lega a trazione sovranista, non ha alcuna possibilità di calare e di essere riformato per un motivo elementare: deficit è debito e debito è tassa.

Dunque, per riprendere ancora Holderlin, là dove c’è il pericolo non cresce ciò che salva ma si sviluppa il rischio maggiore: una democrazia populista a conduzione burocratico-amministrativa. Detto terra terra: il declino dell’Italia continua e si aggrava.

Ecco farsi avanti, allora, la domanda delle cento pistole: qual è l’alternativa? Le democrazie liberali, persino una tutta scassata qual è questa italiana, muoiono quando smettono di produrre anticorpi alle illibertà, quando nessuno si oppone e quando si diffonde non solo la rassegnazione ma soprattutto l’idea diabolica che una nazione si risollevi con il Potere giusto e illimitato. La grande difficoltà d’avere oggi in Italia un’alternativa praticabile all’élite populista sta proprio qui: tutti – tutti – si propongono come salvatori della patria capaci di rendere giusto il Potere.

Nessuno è in grado di rappresentare con autorevolezza la cultura politica liberale e dire che l’Italia – le imprese, la classe media, le famiglie in difficoltà, le periferie – non ha bisogno di aumentare il potere dello Stato ma di diminuirlo, a iniziare dal fisco, per lasciare alle forze sociali di venire avanti ed esercitare nelle attività lavorative quella libertà produttiva che ci risolleva. C’è un prezzo da pagare? No. È illusorio, perché equivale a smettere di credere in una finzione che svolge la funzione di alibi: lo Stato ci salva.

Giancristiano Desiderio, 19 aprile 2019

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