La forza del cristianesimo (spiegata a un liceale)

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Ci sono delle domande che ci poniamo per tutta la vita e che hanno a che fare con la nostra identità, nella fattispecie quella occidentale cattolica. Non è solo una questione di fede, è una faccenda storico-culturale che ci scorre nelle vene da cui possiamo discostarci in modo lieve o categorico, ma che non possiamo ignorare del tutto, nemmeno volendo, perché è fondamento della gran parte delle attività umane che ci riguardano quotidianamente. Per chi di noi inoltre si professa cattolico la faccenda si fa ancora più ardua, perché deve avere, oggi più che mai, chiare le ragioni di questa scelta, per capire che cosa valga davvero la pena trattenere oltre i paramenti.

Ne Il cattolicesimo spiegato a mio nipote. Nicola che fa il liceo, II round, Rino Cammilleri riprende una precedente indagine con la profondità di uno storico par suo e l’elasticità di chi le cose le sa davvero e non ha bisogno di prendersi troppo sul serio. Il contesto è familiare, ma soprattutto dialogico: Nicola, che frequenta la seconda liceo, si è lasciato provocare dai temi emersi durante alcune lezioni di religione e, trovandosi pieno di dubbi, decide di approfittare del sapere dello zio, Cammilleri appunto, per fare tutte quelle domande che gli navigano dentro.

I suoi interrogativi sono autentici e puri, senza finzioni né fronzoli e si stabilisce così un colloquio settimanale, reso ancor più fruttuoso, oltre che dalla stima, dall’amore. Solo in un rapporto di questo tipo infatti si può comprendere la tensione educativa dello zio, celata da un velo di leggerezza e ironia; non è uso a effusioni sentimentalistiche, ma è disposto a dare tutto per quel ragazzo arruffato e sbracato. Legge in lui se stesso e qualcos’altro, forse la speranza di un futuro migliore; vorrebbe difenderlo, forse preservarlo dal male, come quando all’appuntamento settimanale Nicola gli chiede a bruciapelo: “Zio, cosa ne pensi delle sedute spiritiche?” E lo zio lo guarda con gli occhi che gli “fiammeggiavano” per rimproverarlo aspramente.

Può lo zio preservare dal male il nipote tanto amato? No, ma può offrirgli quello che possiede, il suo  talento, la sua passione per la ricerca del vero storico, le sue esperienze e sperare che ne faccia buon uso: “Diabolus simia Dei, dicevano i Padri – spiega Cammilleri – Il diavolo è la scimmia di Dio, cioè Lo imita come una scimmia, a modo suo. Non può creare ex novo, ma può guastare, falsificare, turlupinare[…] Maestro di menzogne, sa che la bugia migliore è quella che sembra vera, perciò mischia sempre alle sue contraffazioni qualche verità. Il fatto è che se Dio è il Bene, lui è il Male, che non ha una sua sostanza. […] Così, la seduta spiritica cerca di evocare i defunti, ma al posto del chiamato viene appunto Qualcun Altro che imita il defunto evocato […] Se il diavolo si presentasse con la sua faccia, tutti scapperebbero. Invece si presenta con una faccia falsa, ingannevole”. Nicola è confuso, come si fa a capire dove sia il Bene? Lo zio allora gli regala un un criterio infallibile da tenere sempre a mente: “Dai loro frutti li riconoscerete[…] Metti in tasca questa massima e tirala fuori quando devi giudicare qualcosa o qualcuno. Non sbaglia mai, parola di tuo zio”.

Ogni settimana Nicola ha un quesito nuovo, a volte sono semplici curiosità, a volte sono domande esistenziali, a volte critiche storiche o dottrinali sul cattolicesimo. Cammilleri si accende un sigaro e tesse la sua risposta, sempre dotta, sempre chiara, sempre avvincente. Viene spesso interrotto dall’impeto del nipote che, talora vuole saperne di più o, inaspettatamente, passa di palo in frasca; lo zio non si scompone, si lamenta un po’, ma solo per accendersi un altro sigaro ed esaudire pazientemente la nuova richiesta. Nicola indaga senza moralismi sul cristianesimo, ma prima ancora indaga sulla sua vita, desidera sinceramente comprendere che cosa c’entri Cristo con la sua felicità, vuole dunque capire ciò che valga veramente la pena e in questa analisi, nonostante la distanza generazionale, zio e nipote si scoprono identici: “Tutti aneliamo alla felicità, piena, totale e senza fine, cioè senza il timore che prima o poi finisca. Tutti, anche quelli che bestemmiano e odiano i preti. […] Siamo fatti per la felicità. Lo dimostra il nostro medesimo, unanime, rifiuto del dolore. E la nostra, spasmodica in molti, ricerca del piacere.

Ma, come per gli animali, il piacere è momentaneo ed è come la droga: più te ne inietti e più ne hai bisogno, lo stesso godimento scema, così che hai ogni volta necessità di una dose maggiore per ottenere lo stesso effetto. Qualcuno si rende conto che c’è qualcosa di malato in questo, qualcosa di sbagliato. E magari si arrende alla via indicata da Cristo”. In questa ricerca zio e nipote si muovono all’unisono, indotti a questa speranza, paradossalmente, proprio dalle cose “inutili”. Come nota il prof. Keating ne L’attimo fuggente: Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita!”

Che cosa sarebbe la vita senza la poesia, la musica, l’arte? Dio stesso ci ha circondati di cose inutili, dalle galassie alle margherite, perché la bellezza è parte importantissima della vita. E una vita di pura utilità è inumana. Tutto questo ci circonda e ci sveglia, ci abbraccia e ci indica da che parte guardare… Chi ci ha promesso questa agognata felicità totale? “Cristo ce l’ha detto e si è fatto ammazzare perché Gli si credesse. Nessun altro ha mai proposto, con la stessa credibilità, analoga speranza”.

Ecco l’unico motivo per il quale il cattolicesimo valga davvero la pena.

Ma i quesiti di Nicola sono tanti… ha 17 anni e affronta ogni tema con la schiettezza della giovinezza, sul perché del dolore, sul senso della preghiera, su episodi della storia in cui il ruolo della Chiesa non gli è chiaro e che spaziano dalle Crociate all’Inquisizione, dagli indios all’Illuminismo, da Napoleone alle Guerre Mondiali; Cammilleri si destreggia con una dovizia rara, dando una prospettiva storica nuova, sempre efficace e mai divagante eppure piacevole e ben fruibile da qualunque tipologia di lettore.

Il tema della libertà personale tuttavia ritorna con vigore: perché Dio permette il Male? Perché ci lascia liberi di compierlo? Perché scegliamo il Male? La risposta non è semplice, tuttavia lo zio trova l’esempio più calzante per spiegare l’atteggiamento di Dio, a volte incomprensibile: “Il buon papà, se vuol far crescere bene il figlioletto, non si sostituisce a lui. Quando il bimbo non sa fare una cosa piuttosto impegnativa, il buon papà gli dice: comincia tu, io ti insegno come si fa, poi, se proprio non riesci, intervengo io”. Ma mentre spiega di dottrina e storia, Cammilleri ogni tanto si sofferma sulle sue parole che acquistano nuovo significato; sembra quasi comprenda infine nuove sfumature e nuove accezioni, proprio nel momento in cui desidera insegnare a un ragazzo con il cuore aperto. Eppure ciò non toglie che i dolori della vita, le angustie personali facciano infine affermare al maestro che Dio è il grande Boh dell’esistenza… A questo punto, Nicola con sicurezza lo riprende: “Eh, ci vuole fede!”. San Paolo agli Efesini dice che Dio «ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare».

“Eh, ci vuole fede!” – insiste Nicola. “E finalmente mi colpì. Sì, perché ero stato io a spiegargli proprio questa cosa. E ora che io stesso vacillavo, ecco che il richiamo all’ordine mi veniva proprio da dove meno me lo aspettavo. Il discepolo non è di più del maestro, ma talvolta anche il maestro ha bisogno del discepolo, hai detto bene, bisogna fidarsi. E alla cieca”.

In un dialogo platonico contemporaneo, Cammilleri sviscera con sapienza, un pizzico di ironia socratica e gusto i grandi temi della cristianità che sono poi i grandi temi dell’esistenza e, maieuticamente, Nicola, con il suo stupore ragazzo comprende che seguire la volontà di Dio è la chiave per un’esistenza ricca, rocambolesca, a volte travagliata, ma piena di significato e di speranza.

Fiorenza Cirillo, 9 agosto 2021

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