La giustizia a gamba tesa sull’ex guru di Trump

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L’arresto di Steve Bannon irrompe nel dibattito mediatico e politico delle elezioni americane e, con tutta probabilità, rappresenterà un tema per la campagna elettorale dei democratici nei prossimi mesi sia per la notorietà di Bannon sia per l’argomento per cui è incriminato. L’accusa nei suoi confronti – molto pesante – è infatti di appropriazione indebita dei fondi raccolti per la costruzione del muro antimigranti al confine con il Messico. Non si tratta di un tema qualsiasi ma uno dei cavalli di battaglia di Trump che ha sancito la sua vittoria nel 2016 ed è ancora oggi molto sentito dallo zoccolo duro degli elettori trumpiani.

Il processo ci dirà se le accuse nei suoi confronti sono più o meno fondate, fino a quel momento vale la presunzione di innocenza ma sembra essere l’ennesimo attacco dell’establishment nei confronti di Trump. Occorre però chiarire alcuni punti fondamentali per comprendere chi è, cosa rappresenta e ha rappresentato Bannon. Steve Bannon è una figura scomoda per il deep state e per tutto l’establishment statunitense. Contrariamente a quanto si pensa in Italia, dove c’è la tendenza a semplificare la politica americana come se il Partito Repubblicano rappresentasse un monolite e non un coacervo di anime, correnti e posizioni, anche all’interno della destra americana Bannon è osteggiato da varie componenti repubblicane. Le correnti neocon considerano Bannon un avversario, così come il mondo conservatore tradizionale lo guarda con scetticismo, di contro Bannon esercita un’influenza nella cosiddetta Alt-right e in alcune aree del mondo cristiano più tradizionalista.

Parlare oggi di Bannon come “l’ideologo di Trump” è sbagliato. Bannon è stato una figura di riferimento per Trump durante la prima campagna elettorale nel 2016 ma già dal 2017 non ha più ruoli nell’amministrazione Trump e nel mondo repubblicano americano da anni ha perso gran parte del proprio peso politico. Le figure influenti sono altre come Tucker Carlson, lo stesso dicasi per il “mondo sovranista” italiano che non ha più forti rapporti con Bannon da anni, sia Salvini che la Meloni sono vicini a componenti di tutt’altro genere del mondo repubblicano americano. Ciò non toglie che fino al 2017 negli Stati Uniti e al 2018 in Italia, Bannon abbia avuto una credibilità importante nei confronti di Trump e dei leader sovranisti nostrani che nel corso degli anni è scemata.

È sufficiente vedere la partecipazione di Giorgia Meloni a un evento come il “National Conservatism” a Roma o le iniziative di Salvini su Israele con Douglas Murray (anche se inglese), per comprendere i diversi riferimenti nel mondo anglosassone. Va detto che Bannon ha avuto la capacità di anticipare una serie di eventi difficilmente prevedibili come la vittoria di Trump o la formazione del governo giallo-verde, una visione che gli va riconosciuta e che ha contribuito a renderlo una figura di primo piano a livello mondiale.

Ridurre Bannon a un ciarlatano o a un truffatore è non solo riduttivo ma sbagliato, così come forzare legami di influenza con il mondo sovranista italiano e con l’amministrazione Trump che avevano ragion d’essere anni fa ma oggi rappresentano una forzatura mediatica con chiare finalità politiche.

Francesco Giubilei, 21 agosto 2020

 

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