Biblioteca liberale

Da oggi in libreria

La grande bugia della sinistra che non sbaglia mai

Giustizia, immigrazione e corruzione: quali sono gli altarini di una sinistra che non ammette mai i propri errori

Porro libro: gli Altarini della sinistra

Un estratto del saggio “Gli altarini della sinistra” (pagg. 192, euro 18,90) di Nicola Porro, in libreria da oggi.

La sinistra ritiene di non avere altarini o almeno così i suoi sacerdoti raccontano di se stessi. Non c’è un avvicendarsi di passione e risurrezione, in cui la seconda sveli la verità che la prima aveva celato, non c’è una presa di coscienza, un pentimento e un nuovo inizio; la sua liturgia è costantemente impegnata ad assolvere se stessa e a ridimensionare con un sorriso di sufficienza gli eclatanti peccati commessi nel passato.

Non c’è nulla di più detestabile di questo tic della sinistra, e cioè di voler insegnare agli altri il senso dei propri errori. E magari i destinatari della lezioncina sono proprio coloro che quegli errori non li hanno mai commessi. Forse aveva ragione George Orwell quando con lucidità commentava: «Gran parte del pensiero di sinistra è come scherzare con il fuoco senza sapere che il fuoco brucia». E quando l’incendio è divampato hanno pure la presunzione di spiegare agli altri come evitarlo o spegnerlo. Risultano straordinari pertanto quegli statalisti che oggi attribuiscono al mercato la distruzione dell’ambiente da parte del mercato, dopo che per sessant’anni hanno costruito oltrecortina le zone ecologicamente più degradate e inquinate del pianeta; per non parlare di quei socialisti che oggi proclamano la necessità di sburocratizzare un sistema bloccato, dopo che hanno magnificato, per almeno un secolo, le virtù dello Stato, coprendosi gli occhi davanti ai suoi fallimenti. Sono ridicoli quanto quei sindacalisti e politici di sinistra che sfilano dolenti davanti alle salme delle fabbriche di automobili porgendo le loro condoglianze alle famiglie di operai senza futuro, proprio dopo aver terminato un comizio sulla necessità di bandire i motori a scoppio.

Il liberale, al contrario, ha o dovrebbe avere sempre in mente la forza del proprio errore, perché sa che chi agisce può sbagliare e che dal prenderne atto può iniziare un cambiamento. È perfettamente cosciente che la libertà dell’individuo, e dunque quella delle sue organizzazioni sociali, può provocare danni. Come direbbe Nassim Taleb, proprio per questo il liberale è antifragile, perché di fronte a fattori di stress come gli errori, cambia e migliora, per adattarsi; il fallimento, dunque, contiene in nuce una nuova opportunità. Il liberale, per dirla con Orwell, tende a scherzare col fuoco, certamente come tutti, ma è consapevole che esso bruci. Il liberale non sa se il presunto omicida o truffatore sia davvero colpevole, ma è consapevole del fatto che le circostanze potrebbero averci ingannato, e dunque conviene non affidarsi alle emozioni della folla e aspettare pazientemente il giudizio finale.

Il liberale non sa se l’ambiente verrà davvero compromesso dall’emissione di quantità sempre superiori di anidride carbonica, ma pensa che affidare il cambiamento del proprio stile di vita e del proprio modello sociale, un hayekiano ordine spontaneo, a una pattuglia di burocrati, potrebbe rappresentare un grande rischio per le nostre libertà. Un liberale non si affida ciecamente agli eroi acclamati dai più, sa che l’uomo perfetto su questa Terra non esiste, pertanto, conoscendo i limiti e la debolezza dell’individuo, diffida o almeno non divinizza i Soumahoro o i Davigo, se mai ne avesse, perché rischierebbe di fare una plateale figuraccia e di doverli tirar giù di fretta dall’Olimpo.

Il sogno libertario, in effetti, si è inventato l’epica di John Galt, l’eroe di Ayn Rand, ma lo ha cancellato dal mondo, lo ha reso invisibile, lo ha furbescamente creato innaturale e misterioso: inattaccabile. Forse l’unico modo per poter celebrare a tutto tondo l’egoismo etico come virtù essenziale per lo sviluppo di una società più libera.

Ma torniamo a noi. Come si può progredire verso la costruzione di una società più libera senza la coscienza dell’errore? Questo mio libro vuole raccontare con qualche esempio tratto dalla cronaca quotidiana, come la sinistra -non tutta certo- viva ormai un chiaro imbarazzo proprio per questa mancata presa di coscienza. Celare gli errori del passato e del presente, infatti, non solo non giova alla gestione dello Stato, ma crea una condizione stantia e ipocrita ormai insopportabile per la sinistra stessa.

Una sinistra che ha un racconto tutto suo e apparentemente inscalfibile del suo modo di essere in cui il giustificazionismo etico è diventato uno stile corredato dall’insopportabile supponenza di voler sempre perseguire il bene collettivo e non l’interesse personale. Pensiamo all’ambito economico in cui la sinistra sostiene l’uguaglianza e combatte le disuguaglianze, ritenute da sempre offensive e criminali; al contrario detesta chi protegge le tradizioni culturali in nome di una disuguaglianza di provenienze da proteggere; vuole che tutti rispondano in modo uguale di fronte alla giustizia indipendentemente dal colore del proprio colletto; anche se per la sinistra quello bianco, di colletto, è sempre un po’ più colpevole; è magnanima nel capire che il lavoratore è sempre e comunque parte debole della contrattazione e dunque merita di essere legalmente aiutato con una spintarella; una sinistra che ha creato il sindacato a sua immagine e somiglianza e che ne ha fatto la sua cinghia di trasmissione; che ha inventato i contratti erga omnes definendoli collettivi, salvo poi pentirsene e richiedere le clausole salariali minime per legge.

Il denaro per la sinistra è lo sterco del demonio, soprattutto se posseduto in grande quantità, ma diventa inspiegabilmente profumato se gestito e intermediato da un soggetto pubblico che si chiama Stato; ritiene che i diritti dei più deboli, ad esempio centinaia di milioni di potenziali immigrati, debbano essere garantiti a tutti i costi e che debbano essere sovvenzionati senza ma e senza se dai più forti, cioè noi occidentali che, pieni di peccati originali, dal colonialismo allo schiavismo al maschilismo, dobbiamo agire in questo modo per pentimento e ammenda.

La sinistra è pura e se qualcuno viene colto con le mani nel sacco, be’ è un compagno che sbaglia. La sinistra riesce a elencare, senza mai mancare un colpo, tutta la lista dei diritti che spettano ai cittadini (non agli individui), omettendo in toto i loro doveri. La sinistra è sempre progressista, anche quando ci vuole sostenibili in bicicletta, senza aria condizionata, con meno docce e più parsimonia nell’acquisto di carne. La sinistra ha amato il lockdown perché finalmente la natura si è riappropriata delle nostre brutte città, opera dell’uomo. La sinistra adora la campagna e lo slow food, preferisce il lardo di Colonnata al bacon, e tutto questo ve lo racconta da magnifiche zone centrali sempre più rurali, in cui è vietato il traffico alle auto, se non le loro, è bandita l’apertura dei fast food e dove il verde è custodito come il green della 18 di St. Andrews.

La sinistra ti spiega come cucinare con le piastre a induzione e si compiace della multa che il sindaco eleva a chi si è permesso di usare un barbecue per grigliare le costolette. La sinistra legge i giornali e compra l’Internazionale, mentre gli altri si impasticcano sui social. Adorava Twitter quando bloccava e censurava Donald Trump e prima che lo comprasse Elon Musk, ora invece lo detesta perché si è permesso di chiedere un abbonamento di 8 dollari a chi voglia essere riconosciuto grazie a una spunta blu. La sinistra ama le élite, quelle che si autoleggono come tali, non quelle che pagano per avere un segno di riconoscimento sul social di un miliardario. La sinistra ama il fact checking, la verifica puntigliosa dei fatti e delle fonti, perché per definizione non si applica ai dogmi religiosi, cioè i loro. Si può forse fare un controllino sulla data in cui finirà il mondo? La sinistra è fratellanza e rispetto delle opinioni altrui, sempre che siano però scritte e ospitate nei loro contenitori. La sinistra è contro la censura, ma non esita un secondo a proporre un reato di negazionismo a chi la pensa fuori dal coro.