A trent’anni dalla famosa discesa in campo di Silvio Berlusconi, a cui segui una vicenda politica con molti alti e altrettanti bassi, se così vogliamo dire, non pochi osservatori di sinistra sembrano ancora non aver compreso sino in fondo la grande intuizione che stava dietro un’operazione che avrebbe cambiato per sempre la nostra claudicante democrazia. Una intuizione, occorre sottolineare, che si coniugò con un tempismo straordinario, tanto da precedere con largo anticipo una quasi analoga iniziativa di Mariotto Segni, che ebbe dopo il referendum del 1991 l’occasione irripetibile di divenire il dominus della politica italiana, ma che ebbe il torto di restare nella Democrazia cristiana quando già Mani pulite stava per travolgerla e di indugiare nell’alleanza con le sinistre – poi rotta nel novembre del ‘93- .
Sta di fatto che il Cavaliere, appoggiando convintamente Gianfranco Fini, segretario del Msi, quando ancora non era entrato in politica – siamo nell’autunno di quel fatale ‘93 – , dimostrò di avere già chiaro in testa il suo rivoluzionario progetto politico. Un progetto che, ed è per questo che ancora oggi a sinistra resta un rigurgito rancoroso e ostile che va ben oltre, a mio avviso, i meriti o i demeriti dell’uomo di Arcore. Ma in quel momento storico, in cui di fatto moriva la prima Repubblica, l’intuizione di Berlusconi, con cui si copriva l’ampio spazio elettorale lasciato libero dal tracollo del cosiddetto Pentapartito – sebbene dal ‘91, con l’uscita dal Pri si dovrebbe parlare di Quadripartito – , impedì alla famosa “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto di mandare nella stanza dei bottoni gli eredi diretti del Partito comunista italiano.
Fu uno smacco clamoroso che, pure in questo caso, ben pochi osservatori dell’epoca si aspettavano, soprattutto nelle dimensioni con cui ciò avvenne, visto che la coalizione guidata da Berlusconi stravinse con oltre 8 punti percentuali di scarto, che alla Camera corrisposero ad oltre tre milioni e mezzo di voti in più rispetto all’Alleanza dei progressisti. Va anche ricordata la sapiente opera di mediazione messa in atto da Berlusconi per trovare un accordo tra i post-fascisti di Fini e la Lega Nord di Bossi, che all’epoca non dissimulava le sue simpatie per la cosiddetta classe operaia. Ci riuscì sdoppiando la coalizione in due tronconi: il Polo del Buon Governo, che comprendeva essenzialmente Forza Italia e Alleanza nazionale, nel Centro-Sud e il Polo delle Libertà, con sempre Forza Italia e la Lega Nord, nel Centro-Nord.
Quello che però Berlusconi forse non aveva compreso, o non aveva compreso fino in fondo, era la grande, enorme difficoltà di riformare il sistema italiano, realizzando almeno in parte quella tanto attesa rivoluzione liberale che, ahinoi, ancora oggi rappresenta una chimera. Così come è probabile che egli abbia capito strada facendo che troppo spesso il principale ostacolo per realizzare il fondamentale presupposto – ammesso e concesso che si abbia realmente l’intenzione di farlo – per una svolta liberale del sistema, ovvero una sostanziale riduzione del perimetro pubblico, si trova all’interno della stessa coalizione di governo.
Ma questo è tutto un altro discorso il quale, da come stanno andando le cose in questo disgraziato Paese, sembra da tempo aver perso molto interesse.
Claudio Romiti, 28 gennaio 2024