Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.
Sul Financial Times del 22 aprile Andrew Edgecliffe-Johnson, direttore della sezione business del quotidiano londinese descrive da New York una riflessione, in parte sorprendete, sviluppatasi di questi tempi all’interno del mondo degli affari americano. Per spiegare quale sia il centro della nuova discussione, Edgecliffe-Johnson riporta una domanda provocatoria che Rogers Williams, deputato repubblicano del Texas, ha rivolto in un’audizione della commissione sui servizi finanziari della Camera, a un gruppo di amministratori delegati di Banche, da Citygroup alla Goldman Sachs: “Siete capitalisti o socialisti?”.
La rapida crescita di democratici che si definiscono “socialisti” come la giovane deputata Alexandria Ocasio-Cortez, renderebbe attuale questo tipo di dibattito.
In tal senso il quotidiano della City (e del Nikkei) riporta diverse prese di posizioni di uomini del business d’Oltreatlantico che si interrogano sul problema. Tra gli altri Jamie Dimon della JPMorgan Chase che scrive di uno sfrangiarsi del “sogno americano”. Ray Dalio della Bridgewater associates che sostiene come il capitalismo debba evolvere o rischi di morire. Weston Hicks della Alleghany preoccupato che il sistema stia abbandonando larghe fette della popolazione. Morris Pearl già direttore manageriale della BlackRock attento alla vastità delle ineguaglianze che sta producendo l’economia globalizzata, e convinto che alla fine tra “l’aumento delle tasse” ed essere “inseguito con i forconi”, sia meglio aumentare le tasse. Dominic Barton, global managing partner emerito della McKinsey, che scrive come “il capitalismo debba autoriformarsi o si imporranno dure misure di una sua riforma con rotture sociali rilevanti perché la gente è incazzata”.
Le preoccupazioni raccolte dal giornalista del Times paiono ancora poco elaborate, però esprimono un elemento in controtendenza rispetto al sentimento che si poteva cogliere nel mondo degli affari fino a qualche tempo fa: sentimento riassumibile nell’idea che ormai le varie istituzioni sovranazionali, i vari organismi tecnico-giuridici internazionali affiancando globalizzazione, finanziarizzazione e rivoluzione tecnologica, potessero risolvere automaticamente qualsiasi contraddizione si presentasse collaterale ai processi fondamentali. I vari esponenti della finanza americana oggi invece sottolineano l’esigenza di interventi “soggettivi” sostanzialmente possibili solo grazie a sistemi di sovranità popolare che correggano quando necessario le tendenze automatiche in atto. Certe risposte riprese dal Times paiono un po’ retoriche, certe altre di tipo socialistico per quanto criticabili sono inevitabili quando si apre uno spazio alle scelte soggettive, comunque resta il fatto rilevante che si apra un dibattito sul carattere “soggettivo” delle scelte da assumere.