Esteri

Allarme Corno d'Africa

La guerra in Etiopia (e gli strani tweet di Tedros Ghebreyesus)

Il conflitto dimenticato in Etiopia, tra accuse di genocidio, tensioni belliche e narrazioni dei media locali

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Fino all’ultimo, il Direttore Generale dell’Oms ha brandito lo spettro del genocidio in Tigray. Fino a poche ore prima dello storico accordo di pace siglato il 2 novembre a Pretoria, tra la Repubblica Democratica Federale dell’Etiopia e il Tplf, (il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray). Un accordo firmato sotto l’egida dell’Unione Africana, degli ispettori Onu e degli Stati Uniti i quali, se di genocidio si fosse trattato, difficilmente avrebbero approvato un accordo dal quale il governo etiope esce a dir poco vincente.

La guerra dimenticata

Il Tigray, regione nel Nord dell’Etiopia da due anni al centro di un complicato conflitto, torna infatti sotto il pieno controllo del governo etiope e il Tplf, il partito che l’ha controllato fino ieri, è ora costretto al disarmo totale. Eppure da giorni, nonostante la guerra fosse ormai agli sgoccioli e il Tigray già quasi del tutto sotto il controllo dell’esercito federale, il numero uno della sanità mondiale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, etiope di etnia tigrina, ha twittato quasi quotidianamente sul tema tirando in ballo persino il Museo americano dell’Olocausto.

Un’accusa, quella di genocidio, mediaticamente potente, ma ad oggi, mai confermata da nessuna commissione indipendente (crimini e violazioni dei diritti umani quelli sì e da entrambe le parti in guerra). Lo scenario evocato però ricorda un triste deja vu. Il 4 novembre esattamente di due anni fa, quando tutto ebbe inizio, quando il Tplf decise di accendere la miccia del conflitto e attaccare il comando militare nel nord della regione, prima ancora che l’esercito federale avesse il tempo di rispondere e quindi di mettere in atto un possibile genocidio. L’hashtag #tigraygenocide era già diventato virale grazie all’amplificazione di simpatizzanti e attivisti vicini alle istanze del Tplf, molti di questi residenti all’estero.

La forza dei media

Nello stesso modo, da giorni, si stava assistendo on line ad un simile tentativo di amplificazione grazie ad una serie di esperti d’Africa notoriamente vicini al Tplf (Martin Plaut, David De Wall, Kjetil Tronvoll tra gli altri) e al recupero da parte di International Crisis Group, Foreign Policy, Economist della narrativa secondo cui il TPLF sarebbe stato vittima di un’offensiva portata avanti dal governo federale. Narrativa sconfessata fin da subito in una tv etiope locale dagli stessi dirigenti del Tplf che avrebbero parlato di “attacco preventivo”. Dunque un vero e proprio tentativo di colpo di stato mediaticamente trasformato in una guerra difensiva.

Tra i principali alfieri di questa narrativa, da due anni, proprio il Dr. Tedros, come viene comunemente chiamato nonostante sia il primo numero uno della sanità a non avere una laurea in Medicina. Un pensiero fisso, il Tigray, che da mesi gli sta talmente a cuore da dichiarare apertamente in più occasioni che la questione “lo tocca personalmente”, da inserirlo nel corso di conferenze stampa dedicate all’Ucraina, da ricorrere persino al tema del razzismo pur di dirottare l’attenzione mediatica sulla regione. Una preoccupazione la sua che potrebbe essere legittima se il ruolo che ricopre non imponesse assoluta imparzialità. Il codice deontologico dell’organizzazione mondiale della sanità infatti impone ai propri dipendenti totale imparzialità, di astenersi dall’esprimere le proprie opinioni nonché dal prendere parte ad azioni politiche in grado di interferire con le politiche e gli affari di governo (sezione 5.8, parte 94, p.33-34). 

“Fame come arma di guerra”

Le dichiarazioni del Dr. Tedros infatti non solo semplici appelli umanitari perché per timing e terminologia, seguono una traiettoria ben precisa. “Blocco agli aiuti”, “fame come arma di guerra”, “regione sotto assedio”. Esattamente le stesse accuse che da due anni a questa parte sono state lanciate contro il governo etiope dal Tplf. Peraltro spostando l’asticella sempre un po’ più in là. Dopo che per mesi il focus era la mancanza di cibo in Tigray, quando i report del World Food Program sugli invii di aiuti alla regione si sono intensificati (150 mila le tonnellate di cibo entrate nella regione da novembre 2020 grazie all’agenzia ONU) il problema è diventato la mancanza di corrente elettrica e servizi nella regione. Man mano però che nelle ultime settimane le forze federali  entravano nelle aree controllate dal Tplf insieme alle forze speciali Amhara e alle milizie Fano, dunque ripristinando corrente elettrica e servizi essenziali, il problema è diventato il “possibile genocidio”. 

Non solo. Dopo aver gridato al mondo di essere vittima di pulizia etnica e di una crisi umanitaria, curiosamente il Tplf ha trovato le risorse e le energie per attaccare le regioni circostanti Amhara e Afar provocando migliaia di morti e milioni di sfollati interni. Le dichiarazioni delle agenzie Onu inoltre hanno confermato il sospetto che i primi responsabili della crisi umanitaria in Tigray fossero proprio le presunte vittime. Il responsabile di Usaid in Etiopia Sean Jones lo aveva ammesso già a settembre 2021, interi magazzini di aiuti umanitari destinati ai civili erano stati saccheggiati dai ribelli del Tplf e lo scorso agosto, il portavoce Onu Stephane Dujarric aveva accusato sempre il Tplf di aver rubato 570 mila litri di carburante essenziale per le operazioni umanitarie del World Food Program proprio in Tigray. Di questo però sui media internazionali non si è praticamente parlato. Così come nessuna.

Francesca Ronchin, 5 novembre 2022