“L’Italia non invierà truppe in Ucraina”. La politica continua a ripeterlo come un mantra, trasversalmente, da sinistra a destra, un po’ per rassicurare gli italiani sempre più preoccupati dalla possibilità di un intervento diretto, un po’ per mera propaganda elettorale, perché la guerra, si sa, è impopolare, sebbene talvolta necessaria e a volte persino inevitabile. E mentre la classe politica italiana continua a far finta di nulla, come se la guerra in Europa non fosse già realtà (purtroppo), i leader di diversi paesi Ue iniziano a prendere in seria considerazione l’ipotesi di un coinvolgimento diretto di truppe europee sul fronte ucraino.
Il primo leader europeo in ordine temporale a ipotizzare l’invio di soldati Nato in Ucraina fu Emmanuel Macron, il quale, a torto o a ragione, non ha mai fatto mistero del fatto che l’invio di truppe da parte dei paesi europei non possa essere escluso. Ma la Francia, è bene che si sappia, non è certo il solo paese Ue a valutare l’ipotesi di un intervento. Anzi, c’è già chi si è spinto ben al di là la semplice fase di valutazione. A cominciare dalle tre Repubbliche baltiche: Lituania, Lettonia e Estonia. Il parlamento lituano ha già approvato l’invio di truppe in Ucraina, e attende solo una richiesta di aiuto formale da parte di Kiev. Il primo ministro lettone, dal canto suo, si è detto favorevole ad inviare propri uomini sul fronte ucraino, stessi ragionamenti fatti peraltro dagli estoni, anch’essi disposti ad aiutare Kiev.
Oltre ai baltici, poi, anche altri due paesi europei geograficamente molto vicini al fronte di guerra, Finlandia e Polonia, tendono a non escludere l’ipotesi di un loro intervento diretto al fianco del soldati ucraini. E poi c’è chi non lo dice ancora apertamente, ma nei fatti si sta già preparando ad ogni eventualità. La Danimarca ha recentemente esteso il servizio di leva da quattro a undici mesi, e annunciato di voler aumentare il bilancio della difesa di circa 6 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni al fine di allinearsi con gli obiettivi Nato. La Germania ha invece preparato un piano di rinnovamento delle forze armate per renderle adatte a combattere una guerra, e portato le spese militari al 2% del proprio Pil, toccando così, al pari dei danesi, il parametro fissato dalla Nato.
Insomma, mezza Europa (o forse più) è pronta o si sta preparando allo scenario peggiore. E l’Italia? Cosa fa l’Italia? Beh, l’Italia, a forza di ripetersi che non sarà mai e poi mai direttamente coinvolta nel conflitto, se ne è talmente convinta da essere preoccupantemente attardata rispetto agli alleati europei. Gli investimenti militari sono scarsi, e comunque lontani dal già citato parametro del 2%, gli armamenti e il numero di soldati non sono idonei neppure per garantire un livello di difesa accettabile.
Nel frattempo, la Russia continua a premere sull’acceleratore e ad avanzare sul fronte ucraino, dritto verso un unico e solo obiettivo: la totale conquista del paese. Senza tentennamenti, ripensamenti o ipotesi di negoziati. Se ciò dovesse effettivamente concretizzarsi (altamente probabile), diversi paesi europei scenderanno in campo a dar manforte a Kiev e cercare di impedire a Putin di vincere. A quel punto, difficilmente l’Italia sarebbe nelle condizioni di non seguire la decisione politica dei propri alleati.
Morale: piaccia o meno, la guerra in Europa e per l’Europa (intesa come istituzione) è già realtà, e non è continuare a negarlo, o fingere che non sia così, che ci salverà. Dobbiamo anche noi prepararci ad ogni eventualità. Non possiamo non essere pronti.
Salvatore Di Bartolo, 15 maggio 2024
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