Un amico, ottimo giornalista, qualche anno fa lamentandosi della stupidità dei lettori da social ha aperto Facebook e scritto “quasi”, in pochi minuti aveva raggiunto un ragguardevole numero di “mi piace” e numerosi commenti che collegavano il suo “quasi” all’intero scibile umano. Non si era ancora concluso il successo di “quasi”, quando ho proposto di pubblicare “ecco”, questo ha scatenato un dibattito piuttosto violento, in parte interpretativo delle parole del mio amico, cosa significasse un “ecco” dopo quel “quasi”? E in parte destinato agli insulti reciproci tra i vari commentatori (diverse centinaia), a causa delle diverse interpretazioni proposte. Poi il colpo di genio: “.”. Ed è subito partito un dibattito infuocato tra insulti e disperazione. Chi si sentiva sopraffatto dalla violenza intrinseca di quel “.” e chi non accettava la violenta conclusione di un dibattito, evidentemente per lui fecondo, con quel conclusivo “.”.
In quel paio d’ore grazie ad un “quasi”, un “ecco” e un “.”, il mio amico ha dimostrato la totale inutilità di ogni azione rivolta ad essere compresi. Nessuno voleva capire e ciascuno proiettava una sua personale visione delle cose. Ogni giorno succede la stessa cosa: scriviamo e non abbiamo speranza di essere compresi, parliamo e siamo fraintesi, qualunque ragionamento superi le venti righe è abbandonato dopo quindici, qualunque discorso superi i tre minuti diventa “una pippa lunga”. Più che capire si cerca la conferma delle proprie opinioni chiudendosi in gruppi autoreferenziali e generando un’offerta assertiva di ogni posizione che, se prima dei social era limitata a riviste specialistiche o nettamente schierate, con l’avvento dei social, dei blog, delle riviste online si è diffusa assecondando le posizioni più intransigenti o bislacche (terrapiattisti ecc.).
Oggi il diritto di tribuna offerto ad ogni fesseria ha generato delle eleganti mostruosità, non esiste idea sbagliata o opinione idiota che non abbia la sua area di riferimento e la sua trasmissione televisiva, corredata di archivi di notizie idiote, interviste a politici, giornalisti e docenti imbecilli, grafici di statistiche insulse. L’effetto di tutto questo è la comprensione “idiotante” (invento un neologismo per intendere il risultato idiota di una lettura fraintesa o completamente non compresa), che è caratterizzata dall’abitudine di far precedere alla lettura di un articolo o all’ascolto di una notizia, ragionamenti preconcetti (chi ha scritto, dove scrive, cosa mi aspetto di leggere su quel media, ecc.) che rendono la lettura del pezzo del tutto scollegata dal contenuto dello stesso.