[…] Con uno sguardo mi ha resa più bella,
e io questa bellezza l’ho fatta mia.
Felice, ho inghiottito una stella. […]
Ad alcuni piace la poesia, Wislawa Szymborska
La letteratura è vita, vita sul serio. Dà luce all’esistenza, indagando sulle cose in modo tale da permetterci di “guadagnare tempo”. Mi spiego. Per quanto longevi possiamo essere, per quante esperienze possiamo fare, tanto ci sfuggirà e tanto non capiremo e tanto ci farà dannare perché, alla fine, saremo sempre un po’ schiavi della nostra prospettiva che può solo umilmente chiedere un oltre grazie a un altro. Un altro essere umano che con il suo divino abbia visto una porzione in più che può essere, infine, anche nostra. Come quando leggi una poesia della Szymborska e si aprono nel quotidiano finestre prima murate o quando indugi su una pagina del Manzoni e comprendi le dinamiche della società in cui abiti o quando Dante ti attraversa e ti sembra di intuire, anche solo per un attimo, il senso di tutto.
La letteratura è eccezionalmente importante per chiunque, nessuno escluso, perché non solo ci insegna a leggere il mondo, ma riesce a spiegarci a noi stessi come noi non saremmo in grado di fare fino a quel momento.
Questo è il miracolo più grande della parola resa arte. E quando si sperimenta, leggendo sulle pagine un amore, un tradimento, un fallimento, una vittoria, si impara a decifrare tutto questo nella realtà. Scaglie di te che ti vengono restituite lucenti, pezzi nuovi di una coscienza profonda che si è servita degli occhi per leggere di cuori e di mare quanto basta per non morirne del tutto. Con un nuovo strato di pelle allora puoi azzardare un’ottica diversa sulle vicende reali, provare a metterti nei panni di un altro, puoi persino perdonargli la sua inettitudine, cominciare addirittura a volerti bene e accarezzare il presente.
Carlo Bo nel suo saggio Letteratura come vita afferma: “La letteratura è una strada, e forse la strada più completa, per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra coscienza. A questo punto è chiaro come non possa esistere […] un’opposizione fra letteratura e vita. Per noi sono tutt’e due, e in ugual misura, strumenti di ricerca e quindi di verità: mezzi per raggiungere l’assoluta necessità di sapere qualcosa di noi o, meglio, di continuare ad attendere con dignità, con coscienza una notizia che ci superi e ci soddisfi”.
Nell’attesa di una notizia che ci superi e ci soddisfi c’è tutta la tensione pulsante dell’esistere, l’unico taglio, l’unico profilo che possa non farci smettere mai di investigare appassionati sulla dignità dell’esistenza e di guardare senza terrore l’urgenza del nostro io. La letteratura ci permette un confronto tra noi e i protagonisti di altre vite, tra le nostre narrazioni e le loro, con Saul e la sua invidia lacerante per David, con Antigone e il suo grido di verità, con Raskolnikov e il suo cambiamento d’amore. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, tanti quanti gli uomini sulla terra. Questo angolo di luce, che le parole regalano all’uomo, trasforma chi ne è illuminato ed è linfa generosa per tutti i mortali che non vogliono morire.
“Diventa una conseguenza naturale di speculazione: è un discorso infinito e continuo che apriamo con noi stessi. […] È la vita stessa, e cioè la parte migliore e vera della vita. E si sa a che cosa alluda, […] a quella solenne promessa, al nostro unico segno di salvezza, a quel termine che difendono la “via” e la “verità”. Non all’obbedienza della natura ma all’attesa di una notizia che rimane la sola ragione”.
In questa metamorfosi continua, non soffochiamo più sotto le macerie della vanità e delle nostre pesanti omissioni, perché abbiamo letto su tutte quelle pagine che gli uomini hanno a che fare con una promessa di bellezza; ci viene testimoniato continuamente da chi la nega e chi la afferma, ma il minimo comun denominatore è lo stesso, questa coscienza profonda, un “cuore della terra” da cui proveniamo e a cui aspiriamo.
Fiorenza Cirillo
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