Sulle colonne del sito nicolaporro.it, lo abbiamo ripetuto numerose volte: la discriminazione nei confronti degli atleti russi, colpiti solo perché russi, rappresenta il miglior modo per avvicinare l’Occidente alla Russia di Putin, ad un regime illiberale, imperialistico, intrinsecamente violento.
La cancel culture anti-russa
Fino ad oggi, le strade intraprese dall’Occidente sono state due, entrambe perniciose. Da una parte, quella della cancel culture, per cui le colpe di Mosca devono necessariamente ricadere nei confronti di tutta la popolazione, che per questo viene emarginata, disconosciuta, criminalizzata. Dall’altra, ha trovato spazio la politica di esclusione del singolo individuo: se hai origini russe, ecco che automaticamente sostieni il regime di Putin. Financo nell’ipotesi in cui hai espresso posizioni contrastanti con quelle del Cremlino, devi pagare, devi essere presentato in pubblica piazza come il nemico da combattere.
Il cumulo di queste posizioni ha trovato la sua piena applicazione nei confronti del tennista Medvedev, numero 1 della classifica ATP, che ha visto l’esclusione da Wimbledon solo perché accomunava con Putin la nazione di nascita, la sua Patria, la sua casa. Insomma, come se la nazionale italiana, campione del mondo nel ’34 e nel ’38, non avesse partecipato ai mondiali solo perché vigeva il regime fascista, con a capo Benito Mussolini. Una follia illiberale, che non riscontra il suo fondamento in quei principi per cui l’Occidente ha combattuto quasi ottant’anni fa.
La svolta degli Us Open
Nonostante tutto, seppur viviamo in un mondo che guarda con sospetto la libertà nelle sue varie sfaccettature, una notizia lievemente positiva arriva dagli Us Open: i tennisti russi e bielorussi potranno partecipare alla competizione. Lo ha dichiarato il Ceo e direttore esecutivo della Us Tennis Association, Lew Sherr, il quale ha confermato la loro libera adesione nella giornata di ieri.
Eppure, rimane sempre un però. Gli atleti potranno giocare solamente sotto bandiera neutra: “Permetteremo a tutti gli eleggibili di competere nel torneo, senza nessun riferimento alla nazionalità”. Esattamente come accaduto al Roland Garros, conclusosi pochi giorni fa con la quattordicesima vittoria di Rafa Nadal.
Il torneo americano ha quindi optato per una politica meno limitativa, ma che, pur sempre, seleziona la competizione sportiva attraverso criteri di nazionalità e provenienza. Che differenza ci sarebbe, per esempio, se i tennisti russi gareggerebbero con la loro bandiera? Perché un cittadino dovrebbe cancellare la sua origine, la sua identità, la sua cultura?
Si badi bene: sentirsi fieri russi non significa in alcun modo sostenere il regime di Vladimir Putin. Piuttosto, rappresenta una manifestazione di appartenenza, di identità, di legame con la propria terra di origine, con la propria famiglia ed i propri cari. Putin è un cosa, i cittadini russi sono tutt’altra.
Se l’Occidente non separa nettamente i due schemi, ecco che proseguirà nell’attuare la migliore politica che, da qui a vent’anni, ha caratterizzato la Mosca di Putin: censura, illiberalità, pensiero unico. La scelta degli Us Open rappresenta un buon primo passo, ma che non risulta essere ancora sufficiente. Se, come dicono, siamo il continente che contempla la libertà a 360 gradi, dobbiamo anche dimostralo. Altrimenti, saranno sempre e solo parole al vento.
Matteo Milanesi, 15 giugno 2022