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La lezione di Bonomi al partito unico dei fannulloni

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Bisogna dare atto a Carlo Bonomi, il nuovo Presidente di Confindustria, di aver messo sul tavolo un tema così drammaticamente “inattuale” quanto cruciale per le sorti del nostro Paese: la forte presenza nella società italiana di una cultura antindustriale che sfocia spesso in un’aperta ostilità e in un odio per chi fa l’imprenditore. Si tratta di un elemento diffuso equamente in tutte le classi sociali. Non solo in quelle popolari, ma anche in buona parte del ceto dirigente. Che il tema sia “attuale” dipende da vecchi, e abbondantemente analizzati, pregiudizi ideologici, anticapitalisti e anti-mercato, che nella nostra patria hanno allignato da sempre, a sinistra come a destra. La situazione è andata però col tempo peggiorando, fino ad arrivare all’attuale governo che rappresenta un concentrato mai visto prima al potere di risentimento sociale, esaltazione del pauperismo e dell’egualitarismo, statalismo redistributivo e paternalismo (cioè sfiducia negli individui e nella loro libera iniziativa).

A Bonomi non spetta dare giudizi politici, come ha opportunamente sottolineato egli stesso più volte in questi giorni, ma è evidente che le sue parole, inserite nel contesto politico e culturale dell’Italia attuale, assumano il tono e anche la sostanza di una dura requisitoria contro Giuseppe Conte e compagni. Il tema è cruciale perché, ammesso e non concesso, che il distributivismo possa avere un senso in un periodo di vacche grasse o di crescita, è del tutto inappropriato in tempi di crisi e di tentata e sperata “ricostruzione” di un tessuto produttivo e sociale.

Il fatto è che l’Italia, se veramente vuole oggi ripartire e conservare gli standard di ricchezza e qualità della vita che ha raggiunto nel secondo dopoguerra, non può fare a meno di una vera e propria “rivoluzione culturale” e “copernicana”, vale a die di una riconversione del pensiero e dell’azione. Al centro deve esserci la produzione e non la distribuzione, la crescita e non l’assistenzialismo, l’etica del lavoro e della responsabilità individuale non quella dei bonus e delle prebende e dei bonus statali, I quali, se alleviano momentaneamente le sofferenze, finiscono non solo per indebitarci sempre più, ma anche per metterci in condizione di non poter pagare il conto che prima o poi ci sarà presentato.

Paradossalmente, l’idea che l’Europa possa fungere da “salvatore” “a gratis”, come si dice a Roma, è non solo ingenua, ma anche pericolosa. Per noi e per i nostri figli, come ha sottolineato Mario Draghi, che è un altro dei pochi in Italia che pone questi temi poco popolari con chiarezza e lungimiranza. Che queste idee, e questa visione, siano state ufficializzate da Bonomi nella lettera dei “cento giorni” inviata l’altro ieri a tutte le associazioni interne, è altamente significativo. Le precedenti sortite, per lo più a mezzo stampa, del neopresidente della Confindustria hanno avuto comunque già l’effetto di aver rotto in certo conformismo della stampa italiana, facendo venir fuori e prendere coraggio ai tanti liberisti non “da salotto”, come li apostroferebbe il commissario Arcuri, ma di buon senso e non fanatici che per fortuna ci sono ancora nel nostro Paese.

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