Oggi ricorrono i 60 anni dalla fondazione dell’Ordine dei giornalisti, istituzione di cui chi scrive farebbe tranquillamente a meno, e che sono stati l’occasione per parlare un po’ di libertà di informazione. Solita solfa. E solite frasi di circostanza trite e ritrite vergate dal presidente della Repubblica Mattarella in un messaggio inviato all’Ordine. Quest’anno, ed è una novità, c’è però un buon motivo per occuparsi della ricorrenza e leggere quanto detto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Una breve lezione alla baraonda di giustizialisti alla Travaglio che forse varebbe la pena riportare quasi integralmente.
Il tema del contendere è ovviamente la pubblicazione di intercettazioni e notizie riservate da parte di un giornalista in merito a indagini giudiziarie. Conosciamo il metodo: il pm indaga, infila le trascrizioni dei nastri nelle ordinanze e queste finiscono spiattellate sui giornali. Il malcapitato di turno viene sputtanato, spesso con frasi poco attinenti all’oggetto dell’indagine, condannato senza appello al pubblico ludibrio e chissenefrega se sette o otto anni dopo verrà assolto.
Da tempo si chiede un correttivo a questo modus operandi. La riforma Cartabia ha imposto alle procure maggior cautela nei comunicati stampa e nelle conferenze, al fine di rafforzare il sacrosanto istituto della presunzione di innocenza. Ma non è che le cose siano poi migliorate granché, tanto che il governo starebbe pensando ad una riforma dell’intero istituto delle intercettazioni.
Quello che ha in testa Nordio l’ha spiegato chiaro e tondo oggi nel suo intervento. “Se un giornalista pubblica una notizia riservata su un’indagine giudiziaria la colpa non è del giornalista che non va né incriminato né censurato – ha detto il ministro – La colpa è chi consente la diffusione di queste notizie e non vigila abbastanza”. Insomma: le procure devono evitare fughe di notizie, sempre più diffuse. E magari fare più attenzione a quali intercettazioni infilare nel fascicoli e quali stralciare. Perché è vero che “la libera stampa è una delle colonne della democrazia”, ma lo sono anche “il rispetto della dignità e della libertà dei cittadini che può essere violata se si viola la segretezza delle loro conversazioni”. In sintesi, “la segretezza delle conversazioni è l’altra faccia della libertà”. Che però in pochi considerano. E che i giustizialisti ignorano del tutto.
Giuseppe De Lorenzo, 3 febbraio 2023