Pensiero unico

La Luiss scarica Orsini: “Chiuso il suo Osservatorio”

Il sito internet diretto dal professore non è più attivo. La rottura con l’Ateneo era nell’aria

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Continua la caccia alle streghe su colui che è diventato ormai, suo malgrado, il bersaglio più gettonato di instancabili tuttologi e animali da social: Alessandro Orsini.

La sua figura, fino a poco tempo fa sconosciuta al 90% di coloro che oggi l’additano come la vergogna dell’Italia, è tutt’altro che degna di quello zoo mediatico che lo sta circondando ormai da settimane. Orsini, infatti, per chi non lo sapesse, è uno studioso italiano specializzato in geopolitica, professore associato alla Luiss di Roma dove insegna sociologia del terrorismo e ormai non più Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale.

L’ultimo colpo sparato – per rimanere in tema – è infatti il siluramento, nemmeno tanto velato, dell’accademico da parte della prestigiosa università. Da ieri, infatti, non è più a capo dell’Osservatorio, nonostante i piani alti rassicurino che il progetto andrà avanti, evidentemente senza di lui.

La carriera di un professionista è stata quindi messa in panchina a causa delle opinioni che tutti conosciamo e che Orsini non ha mai negato: già da qualche mese nell’ateneo, infatti, si borbottava su quelle sparate non allineate al pensiero unico dominante per quanto riguarda il conflitto ucraino-russo. Voci di corridoio, che hanno risuonato fino alla presidenza della Luiss a quanto pare, hanno creato discussioni e imbarazzi tra gli altri professori che hanno trovato di cattivo gusto quella libertà intellettuale di dire la sua a prescindere dal contesto.

Ed è così che Alessandro Orsini è un filo-putin, motivo per cui – sembrerebbe – non sarebbe più gradito come direttore dell’Osservatorio.

L’università, a riguardo, ha detto la sua: poche parole e dritte al punto. “La Luiss comunica che l’accordo di collaborazione con Eni per la realizzazione dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale, affidato dall’Ateneo al Professor Alessandro Orsini, è giunto a scadenza da circa due mesi e non verrà rinnovato. Per questa ragione, i canali di comunicazione dell’Osservatorio, incluso il sito internet ‘Sicurezza internazionale’ da oggi non sono più attivi”, così si legge nella nota diffusa alla stampa.

Non solo lo stop all’attività professionale ma, potremmo azzardare, una vera e propria censura nei confronti delle sue idee: il sito internet al quale fa riferimento il comunicato targato Luiss, era infatti diretto dal protagonista ed è, ad oggi, inconsultabile.

Se è vero che il contratto del Professore era scaduto da due mesi, è certamente curioso come proprio adesso si siano resi conto del ritardo e quindi abbiano deciso, da un giorno all’altro, di farlo fuori.

La Luiss, vedendo la parata e cercando di evitare scandali, già a pochi giorni dall’inizio della guerra aveva dato un “avvertimento” a Orsini: “Piena solidarietà al popolo ucraino, invitiamo chi ha responsabilità di centri di eccellenza come l’Osservatorio sulla Sicurezza internazionale ad attenersi al rigore scientifico dei fatti, senza lasciar spazio a pareri di carattere personale che possano inficiare la reputazione dell’ateneo”.

Verrebbe da chiedersi, anzi da chiedere alla Luiss: quali sono i confini del rigore scientifico dei fatti?
Perché, a prescindere dalle posizioni contrastanti sul conflitto, è bene ricordare che Orsini – ormai lanciato nel calderone dei critici da strapazzo – è un professionista della materia, non un campione di tornei di risiko. Certamente le sue affermazioni sono contestabili, certamente il riferimento a Hitler qualche giorno fa ad Accordi e Disaccordi ha scosso l’opinione pubblica, certamente ogni persona è libera di idolatrarlo o farne carne da macello. In momenti come questi – e possiamo ben ricordare i tempi della pandemia dove i bersagli erano i virologi – tutti si sentono in dovere di dire tutto e, per quanto non sia eticamente corretto, è un fenomeno inevitabile della deriva social della nostra società.

Ciò che troviamo quantomeno dubbio è, però, la stigmatizzazione di un professionista da parte di colleghi e altrettanto esperi della materia. Se poi qualcuno grida alla censura allora è subito complottista: ma come possiamo chiamare l’atteggiamento di chi costringe un esperto in materia a lasciare la posizione lavorativa, minando quindi anche una prestigiosa carriera, solo per aver avuto il coraggio di affermare le proprie idee, analizzare la situazione con i mezzi che non tutti abbiamo e proporre un punto di vista diverso da quello che ci viene proposto da due mesi a questa parte?

Quale dovrebbe essere il compromesso tra restare fedele ai propri principi, deontologici e morali, e risultare “corretto” in un’Italia che sembra guardare sempre più all’apparenza delle cose tralasciando la sostanza?

Siamo davvero al punto che per proteggere la propria libertà intellettuale dobbiamo accettare di essere identificati come pericolosi outsider? A quanto pare sì.

Bianca Leonardi, 1 maggio 2022

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