Negli ultimi venti anni la magistratura ha rappresentato un contrappeso alla politica, anche superiore alla sua legittimità. Almeno dal decreto Biondi in poi (pensato dal primo governo Berlusconi del 1994) una parte, la più rumorosa, della magistratura ha capito che la sua alleanza con la stampa le avrebbe permesso di esercitare una forte pressione.
A differenza delle alte burocrazie di Stato, senza le quali è tecnicamente difficile governare a Roma, l’influenza della magistratura è stata più politica. Una sorta di terza Camera, etica, del Parlamento.
Oggi con il governo a trazione grillina il vero cambiamento è proprio nel rapporto con questa parte della magistratura. Che è diventato fluido. L’emendamento sulla cancellazione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio è un intervento simile e opposto al decreto Biondi. Con quest’ultimo, dicevano i giustizialisti riscaldati da Mani pulite, avremmo scarcerato centinaia di malfattori: forse. Con l’emendamento Bonafede, terremo sotto processo senza fine milioni di innocenti e qualche colpevole: è certo.
La politica, con Berlusconi, con Prodi, con Renzi, ha sperimentato il potere giudiziario, nella sua vulgata mediatica, sulla pelle. Al contrario i rappresentanti del mondo grillino parlano la stessa lingua di questa componente giudiziaria: che per carità dice di non voler fare politica, perché ha capito bene come farla, senza ridursi lo stipendio e il ruolo. Cioè non abbandonando la toga. Il caso Di Pietro, Ingroia insegnano.
Ma l’intuitus personae riguarda anche altri fronti. La Corte costituzionale, sì proprio quella di Amato e company, ha bocciato una norma fondamentale del Jobs Act di Renzi. Prima il licenziamento illegittimo veniva punito con una sanzione di due mesi di multa per ogni anno di anzianità. I supremi giudici hanno deciso che non basta: o meglio che saranno i loro colleghi magistrati ordinari a decidere l’entità del risarcimento. Insomma un’altra materia che il legislatore voleva consegnare ad un automatismo soggetto ad una legge generale e valida per tutti, e che i magistrati hanno deciso di riassegnarsi.
Questo è l’impasto pericoloso di questa Terza Repubblica. In cui la politica e un’élite di magistrati dettano le regole. Tra qualche anno dovremmo preoccuparci non più della separazione delle carriere (sogno che mai si realizzerà) ma della separazione dei poteri.
Nicola Porro, Il Giornale 10 novembre 2018