La cedolare secca sugli affitti dei negozi, dunque, non sarà rinnovata. Lo ha comunicato formalmente il Governo – per bocca del Viceministro dell’Economia e delle finanze Antonio Misiani (Pd) – nella seduta di giovedì scorso delle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera, impegnate nell’esame degli emendamenti al decreto-legge cosiddetto “Milleproroghe”.
Ma che cos’è la cedolare? Spieghiamolo in breve, prima di commentare la decisione dell’Esecutivo. Si tratta di una tassazione con aliquota proporzionale (21%) del reddito da locazione, che era stata introdotta quale regime, opzionale, alternativo a quello dell’Irpef per i contratti di locazione di locali commerciali di categoria C1 stipulati nel corso dell’anno 2019. Una sorta di flat tax, insomma, pensata sulla falsariga di quella in vigore da quasi dieci anni – con unanime riconoscimento di efficacia – per gli affitti abitativi.
Le ragioni dell’estensione di questo speciale regime tributario anche a una parte delle locazioni non residenziali erano numerose (e condivise da pressoché tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, compresi il Partito democratico e il Movimento Cinque Stelle). Le imposte statali e locali (almeno 7: Irpef, addizionale regionale Irpef, addizionale comunale Irpef, Imu, Tasi, imposta di registro, imposta di bollo) raggiungono un livello tale da erodere gran parte del canone di locazione, anche per via della irrisoria deduzione Irpef per le spese, pari al 5%. Un onere che arriva a sfiorare il 100% se alle tasse si aggiungono, appunto, le spese (di manutenzione, assicurative ecc.), alle quali il proprietario-locatore deve comunque far fronte, e l’eventuale indennità di avviamento (senza considerare il rischio morosità e quello di sfitto).
La situazione di questo comparto è molto grave, e per giunta acuita dalla presenza di una legislazione vincolistica ormai datata, che impedisce a proprietari e inquilini di concordare liberamente gli elementi essenziali del contratto e che quindi rende difficile l’incontro di domanda ed offerta, in particolare in caso di apertura di nuove attività da parte di giovani.
La conseguenza è che, nelle strade delle città, aumentano i locali vuoti. E questo porta, sovente, a una maggiore insicurezza e al degrado dei luoghi. La cedolare secca mirava, appunto, a facilitare l’utilizzo di questi locali, contribuendo a vivacizzare l’economia territoriale e, al contempo, ad aumentare la sicurezza dei cittadini.
Ha scritto ieri, con la consueta chiarezza, un Maestro dell’economia come il professor Francesco Forte: “Un governo di sinistra socialmente orientato dovrebbe curarsi delle periferie e dei borghi, perché ivi risiedono i cittadini con reddito modesto ed ivi operano il maggior numero degli esercizi commerciali che sono più a rischio di sparire, sotto il peso della pressione fiscale sugli affitti. La quale dai proprietari si trasferisce a loro. La flat tax del 2019 alleviava questa pressione, per bloccare la mortalità dei piccoli esercizi, sulla base della positiva esperienza della flat tax del 21% sugli immobili dati in affitto dalle persone fisiche come abitazioni” (il Giornale 8.2.2020).
La prova più lampante della necessità della cedolare è che a richiederla sono state, negli anni, anche le associazioni di rappresentanza dei commercianti e degli artigiani: unico caso, che risulti, di organizzazioni che invocano meno tasse per contribuenti diversi da quelli da loro rappresentati (sono gli “inquilini” dei contratti di locazione relativi ai locali in cui esercitano le loro attività).
Nel resoconto parlamentare di giovedì scorso si legge che il Viceministro Misiani “sottolinea che il Governo è sensibile alla questione della fiscalità degli affitti commerciali, ma non ritiene proponibile rinnovare la cosiddetta cedolare secca nel 2020 attraverso il decreto-legge in esame.