Giorgia Meloni è una stella o una meteora? Forse oggi è più simile ad un fulmine che a tratti colpisce violentemente angoli della Terra, ma poi non resta. Nel dibattito sul futuro del centrodestra che hai aperto su Il Tempo, non si può che partire dalla numero uno di Fratelli d’Italia, l’unica vincitrice dell’ultima tornata elettorale.
E infatti, Forza Italia, guidata militarmente dal disastroso tandem Ghedini-Ronzulli, con Tajani convitato di pietra, è ormai in un inesorabile disarmo, mentre il “Capitano” Salvini sembra finalmente aver capito che il ‘one-man-show’, con sparate del tipo “pieni poteri” o “vinceremo 7 a 0“, non lo porta da nessuna parte. Tuttavia, se nessuno dei tre leader accetta regole condivise né rispetta l’altro, nonostante i tanti selfie abbracciati e i vari patti firmati, la coalizione di centrodestra, semplicemente, non esiste.
Brava, ma non basta
Bene faceva, con pazienza e generosità, il Berlusconi dei tempi migliori, il quale non solo ascoltava Casini, Bossi e Fini, ma apriva anche a personalità di grande spessore, da Tremonti a Fisichella, per citarne due. Meloni, che si è conquistata il titolo di “rising star” della politica italiana dal Financial Times, dovrebbe trarre ispirazione, avendo anche lei, come il Cavaliere, grande pragmatismo nell’ascolto del territorio e un’attenzione puntigliosa nella preparazione delle apparizioni televisive (anche se nel mondo di Urbano Cairo viene puntualmente “boicottata”). Il suo piglio va bene per affrontare piazze e tv, ma non basta se vuole diventare grande.
Inoltre, la “rinuncia” al Campidoglio per paura di non saper amministrare è un grave errore: Roma le aprirebbe le porte del mondo tanto quanto Palazzo Chigi, dove invece è convinta, sbagliando, di approdare in carrozza. Ma il vero limite di Giorgia è oggi il suo cerchio magico che, per non perdere lo strapuntino di potere acquisito e con la scusa di difenderla ‘dai barbari’ alle porte, la costringe a chiudersi a riccio e ad essere diffidente e sospettosa verso tutto e tutti, impedendole di brillare.
Generazione Atreju
Il suo gruppetto di comando, che si definisce la generazione Atreju, culturalmente è il retaggio della destra più estrema legata a vecchi schemi con riti e linguaggi oggi anacronistici. In Fratelli d’Italia la contraddizione più evidente è che sono più aperti verso l’esterno i vecchi padri fondatori come gli Ignazio La Russa e i Fabio Rampelli rispetto ai vari Donzelli, Fidanza, Augusta Montaruli o il giustizialista Andrea Delmastro, che ha fatto approdare verso l’inutile Azione di Calenda, e non verso FdI, un garantista aggregatore come Enrico Costa.
Questi “talebani” attorno a Giorgia finiranno per tenerla lontana non solo dalle cancellerie europee, da Washington e dal Vaticano, ma anche dalla possibilità di creare accanto a sé una classe di governo credibile e affidabile, che è quello che oggi vuole l’elettore del centrodestra, non potendone più di leader solo mediatici. Lo insegna Luca Zaia in Veneto.