Salute

La mia odissea con la burocrazia sanitaria

La traumatica esperienza in un pronto soccorso dell’Umbria tra lunghe attese e protocolli burocratici

Burocrazia Sanitaria_02 © DSGpro, utah778 e SusanneB tramite Canva.com

Non è mai elegante, come osservatore, trattare un proprio accadimento personale, tuttavia ciò che sto per raccontare appare piuttosto rappresentativo della nostra tanto decantata sanità pubblica universale. Sanità pubblica che spesso viene sorretta e sostenuta con grande impegno dal buon cuore dei singoli operatori, come è accaduto al sottoscritto il quale, nella sciagura, ha avuto l’unica fortuna di incontrare due e veri e propri angeli di grande professionalità. Tutto questo però, occorre aggiungere, in un mare magnum di imbarazzante disorganizzazione.

Vengo ai fatti, cercando di essere breve. Giovedì 18 gennaio, mentre stavo per completare un allenamento di corsa di 7 km, sono caduto rovinosamente, procurandomi – secondo l’elaborato referto medico – ferite in tutto il corpo, tanto da dover ricucire una discreta superficie del viso, e la frattura completa dello sterno e di tre costole, con la perdita di ben cinque denti. In pratica, una vera e propria catastrofe personale, soprattutto in considerazione della mia non più verde età. Ebbene, giunto al pronto soccorso dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia, il principale nosocomio di Perugia e dell’Umbria, ho fatto un vero e proprio viaggio nella vertigine sanitaria, sebbene, per mia fortuna, io vi sia capitato in una giornata non particolarmente affollata di urgenze.

Eppure, nonostante mi fossi presentato in ospedale con una ferita aperta sul viso che continuava a perdere sangue ed un evidente trauma cranico, dichiarando forti dolori in tutto il corpo, ho dovuto aspettare circa due ore e trenta (che potevano allungarsi ulteriormente se non avessi protestato energicamente) prima di poter essere visitato dal dottor Giuseppe Marino, l’angelo salvatore che, coadiuvato sua altrettanto ottima assistente, Nicoletta Pericoli nel giro di mezz’ora mi ha ricucito il viso devastato, medicato le numerose ferite ed escoriazioni, eseguito la vaccinazione antitetanica e sottoposto ad una scrupolosa visita che mi avrebbe poi condotto ad eseguire tutta una serie di esami che, non certo per sua responsabilità, mi hanno stremato oltre misura, nonostante io sia abituato ad intensi e prolungati impegni sportivi.

In estrema sintesi, dovendo evidentemente eseguire una approfondita sessione di esami radiologici, esami fatti nel giro di qualche minuto, è iniziata una vera e propria Odissea tra i corridoi del pronto soccorso. In primis, cosa abbastanza tipica da ciò che molti pazienti raccontano, i referti giungono con lentezza esasperante malgrado, vivendo nell’era dei computer, questi ultimi viaggino in rete. Quindi ci sono volute alcune ore per ottenere detti referti, solo che ci si era dimenticati di eseguire l’esame che alla fine avrebbe rivelato le fratture multiple. A questo punto mi richiamano nel reparto, che dista abbastanza dall’ambulatorio del dottor Marino e, dopo aver effettuato il “pezzo” mancante, mi dicono di restare nella sala d’aspetto di radiologia.

Passa oltre un’ora e non succede nulla. A questo punto, nel dubbio, inizio un lungo andirivieni in grave crisi di zuccheri (non mangiavo dalle 7 del mattino e avevo bruciato molte calorie nell’allenamento) da un settore all’altro del pronto soccorso. Alla fine, dopo oltre un’altra ora, scopro che sarei dovuto tornare dal dottor Marino per un ulteriore visita da parte di un cardiologo.

Insomma, per farla breve, dopo tutta una ulteriore serie di valutazioni – si erano fatte quasi le nove di sera – mi consigliano di farmi ricoverare per un giorno in osservazione, cosa che io rifiuto chiedendo di essere dimesso. Ma anche in questo caso ho dovuto farmi largo, per così dire, a gomitate perché, malgrado il reparto si fosse svuotato, dovevo attendere ancora affinché il medico di turno compilasse il verbale di uscita. Ovviamente, come avvenuto in precedenza, ho usato l’energia residuale per operare una certa pressione sul personale presente, ottenendo alla fine l’agognato documento. Solo che, dulcis in fundo, il medesimo documento non era buono per un eventuale risarcimento assicurativo, dal momento che nel resoconto finale non c’era traccia delle fratture multiple.

Tant’è che sono dovuto tornare al pronto soccorso alcuni giorni dopo (obbligatorio esserci di persona e la modifica l’avrebbe, secondo protocollo, dovuta eseguire lo stesso medico che lo ha redatto, anche se poi le cose sono andate diversamente, visto che me lo ha consegnato una dottoressa) per farmi modificare il referto. E non è ancora finita. Non essendo stata definita una prognosi nello stesso verbale, a mia precisa domanda, mi è stato risposto che l’avrei trovata scritta nero su bianco su un apposito certificato da richiedere al Cup dell’ospedale nei giorni seguenti.

Ora, scusandomi con il lettore per il confuso racconto – che sarebbe risultato ancora più confuso se avessi aggiunto altri dettagli di natura burocratica – di un fatto che non appare assolutamente anomalo nell’ambito della nostra sanità pubblica, mi sembra doveroso trarre alcune ben poco lusinghiere conclusioni. Al netto del summenzionato  spirito di sacrificio di molti buoni samaritani che operano nel settore, in questa sorta di girone dantesco in cui spesso si finisce dopo aver varcato la soglia di un pronto soccorso, sembra comunque fondamentale mantenere, soprattutto se si è soli, una buona dose di energia, di concentrazione e di iniziativa personale. Tutte qualità da utilizzare per districarsi in questo marasma buro-sanitario nel quale troppo spesso il cittadino necessitante di cure sviluppa la sgradevole sensazione di essere abbandonato a se stesso.

Questo non significa affatto, come nel caso in questione, che ci sia indolenza o vera e propria cattiva volontà da parte dei vari operatori sanitari. Si ha invece l’impressione che, proprio a causa di una organizzazione complessiva eufemisticamente non perfetta e dei soliti protocolli iper-burocratici che infestano oramai ogni settore, il sistema di cura si muova anche nei reparti di emergenza con una farraginosità imbarazzante.  Tant’è che, così come sembra accaduto durante la pandemia di Covid-19, se non ti uccide l’infortunio o la malattia, il rischio serio è che ti uccida la disorganizzazione sanitaria eretta a sistema.

Stando così le cose, forse non ci si deve poi molto stupire se il coronavirus, il quale come oramai è noto colpiva gravemente solo i soggetti immunodepressi, abbia creato il caos soprattutto nei reparti di pronto soccorso.

Claudio Romiti, 25 gennaio 2024

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