La regola di ogni negoziazione è: mai fare proposte al ribasso prima che la trattativa entri davvero nel vivo. Vladimir Putin lo sa e oggi, durante la conferenza di fine anno, tra una citazione di Silvio Berlusconi e l’altra, ha rilanciato la palla nel campo ucraino con una sorta di all-in. Dopo che ieri Volodymyr Zelensky aveva fatto capire di essere pronto a rinunciare alla Crimea e al Donbass, Mosca si dice pronta a trattare con Kiev ma solo quando verrà rieletto il “legittimo presidente”. Quindi nessun tavolo con Zelensky a meno che non ottenga il favore del popolo.
La mossa a sorpresa suona un po’ come un modo per prendere tempo (in attesa dell’insediamento di Trump a gennaio?) un po’ come un segnale a Usa, Ue e Ucraina per dire che il Cremlino è ancora convinto di avere il coltello dalla parte del manico. Il presidente russo è sicuro di essere “vicino agli obiettivi prioritari” nel Donbass e soprattutto sostiene che la situazione sul campo sta “cambiando drasticamente“. Ancora non può dire quando l’Armata riuscirà a liberare il Kursk dagli ucraini, ma non sembra avere dubbi di potersi sedere al tavolo delle trattative da una posizione di vantaggio. “La politica è l’arte del compromesso – ha detto rivolto a Kiev – e i negoziati sono un compromesso”.
E qui arriva la prima “condizione” che Putin pone: il cambio di leadership nel Paese nemico. Lo Zar pretende di parlare con “il legittimo leader” dell’Ucraina, anche Zelensky volendo ma “solo se andrà ad elezioni e sarà rieletto”. “Se il leader ucraino è illegittimo allora lo è tutta la struttura di potere”, ha spiegato lo Zar che vuole partire dal processo negoziale di Istanbul del 2022 aggiornandolo “sulla base della realtà che sta prendendo forma sul campo oggi”.
Certo Putin deve fare i conti con la realtà. Anche interna. Nei quasi tre anni di guerra ha dovuto affrontare il fallimento del conflitto-lampo, il golpe dei soldati della Wagner, la destituzione di Assad in Siria (previsto un incontro con l’ex dittatore) e gli omicidi mirati dell’Ucraina tra cui l’ultimo, clamoroso, del generale Igor Kirillov nel cuore di Mosca. Il presidente russo ha puntato il dito contro l’intelligence per il “grave fallimento” nel prevenire questi attacchi, ma è un dato di fatto che Mosca non è più blindata come un tempo. Senza contare l’accerchiamento della Nato (“sono tutti in guerra con noi”) che continua a sostenere Kiev sia economicamente che militarmente, anche con l’invio di missili a lunga gittata.
Nel discorso di fine anno c’è stato spazio anche per l’economia. Putin ha ammesso che “le sanzioni creano problemi” ma “non saranno in grado di ucciderci completamente”. “L’economia russa continua ad avanzare nonostante le minacce esterne”, ha detto. “In due anni è cresciuta dell’8 per cento”. Un dato allarmante arriva però dall’inflazione che si aggira intorno al 9,2-9,3%.
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