Dal punto di vista militare, la situazione sul campo ucraino non sembra essersi modificata molto nelle ultime 24 ore. A Sud Mariupol è sempre sotto assedio, assetata, senza riscaldamento e con l’ospedale pediatrico colpito dalle bombe. A Est le forze delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk procedono lentamente. Odessa invece resiste. A Nord Kharkiv, Chernihiv e Sumy sono circondate, subendo continui bombardamenti che tengono alta la tensione. A Kiev si combatte ancora nella zona Nord-Ovest: il sindaco Vitalii Klitschko ha fatto sapere che le forze russe sono arrivata a “10km dal centro della città”, rispetto ai 25km di un paio di giorni fa. E il timore è che Mosca raggiunga l’obiettivo militare di circondare anche la capitale ucraina: se dovesse accadere, gli abitanti potrebbero resistere solo “una settimana”. Poi la città capitolerebbe, quella parola – “resa” – che ieri Zelensky ha rigettato con tutte le sue forze.
The illegal and unprovoked invasion of Ukraine is continuing.
The map below is the latest Defence Intelligence update on the situation in Ukraine – 09 March 2022
Find out more about the UK government’s response: https://t.co/zcQSvPZZtb
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— Ministry of Defence 🇬🇧 (@DefenceHQ) March 9, 2022
Ecco perché, mentre procedono le operazioni militari sul campo, l’attenzione occorre focalizzarla anche sui movimenti diplomatici. Putin si tiene in più o meno costante contatto con Olaf Scholz e Emmanuel Macron. Ma dopo le armi spedite in Ucraina e le sanzioni dell’Ue alla Russia, appare difficile che possa essere un leader europeo a mediare tra Kiev e Mosca. Il presidente Zelensky continua a chiedere al cancelliere tedesco di organizzare un incontro diretto con Putin. Soluzione complicata, così come appare ormai tramontato il tentativo di Israele di fare da paciere. Considerato troppo aperto alle “ragioni” di Mosca, il premier Bennet sembra ormai uscito dai radar della diplomazia. Fa il suo ingresso prepotente invece la Cina, che potrebbe rivelarsi – per potere economico e standing internazionale – la pedina giusta per risolvere la crisi. Ma a quale prezzo?
La posizione di Pechino sull’origine del conflitto russo-ucraino è stata spiegata oggi dal portavoce del ministero degli esteri cinese, Zhao Lijian. Il New York Times aveva ipotizzato che la Cina fosse al corrente delle intenzioni di Putin e non abbia fatto nulla per fermarlo. O non abbastanza. Accusa respinta al mittente dal gigante asiatico, il quale a sua volta resta convinto che le “sanzioni unilaterali” decise dall’Occidente “non si basano sul diritto internazionale” e non fanno altro che “aumentare le divisioni e lo scontro”. Non solo. Secondo Pechino “sono state le azioni della Nato guidata dagli Stati Uniti che hanno gradualmente spinto fino al conflitto Russia e Ucraina“. I rapporti tra Pechino e Mosca sono “solidi come la roccia”, ma non è un caso se ieri il ministro degli esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, durante una telefonata con la controparte cinese Wang Yi ha chiesto “con impazienza” la “mediazione della parte cinese per realizzare il cessate il fuoco”. Chi più di Pechino avrebbe la forza di portare Putin a più miti consigli?
Molti analisti internazionali credono che lo Zar non possa in alcun modo “perdere” questa guerra. E che stia cercando la vittoria totale. Eppure, dopo le resistenze ucraine sul campo, alcune posizioni del Cremlino si sono ammorbidite. Se dieci giorni fa Putin non era disposto neppure a parlare con il “governo di neonazisti e drogati” di Zelensky, oggi la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha fatto sapere che in realtà Mosca non vuole “rovesciare” l’esecutivo di Kiev. Una mossa che permetterebbe a Zelensky (o chi per lui) al potere. L’obiettivo della Russia oggi sarebbe quello di “porre fine all’insensato spargimento di sangue e alla resistenza delle forze armate ucraine il prima possibile”. I negoziati fanno “progressi”, assicura Mosca, ma su alcuni punti Putin non intende fare passi indietro. Primo: il riconoscimento delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk come “Stati sovrani e indipendenti”. Secondo: l’accettazione della Crimea come territorio russo. Terzo: la neutralità dell’Ucraina.
Ieri il presidente ucraino Zelensky si era mostrato possibilista. Ha aperto a trattative su Donbass e Crimea, rivelando di aver “raffreddato” la sua volontà di portare Kiev tra i partner della Nato, forse anche “deluso” dalla mancata “no fly zone” (l’invio di jet polacchi tramite gli Usa è stata per ora scartata da Washington). Una apertura a Mosca non indifferente, che però bisognerà valutare al tavolo dei negoziati. Pare che i consiglieri ucraini siano al lavoro per trovare una “formula” adeguata, forse più sul modello “Austria” che su quello della Finlandia: Kiev potrebbe inserire la neutralità in Costituzione, mantenendo l’indipendenza.
È presto, ovviamente, per parlare di “soluzione”. Perché intanto in Ucraina si muore. E tra le parti la fiducia è ovviamente ai minimi termini. Igor Zhovkva, vice capo dell’ufficio Zelensky, ha chiesto infatti a Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania della “garanzie di sicurezza”. Non fidandosi di quelle che può garantire la sola Federazione Russa.