La magistratura continua a presentare al grande pubblico le proprie fragilità, i propri scandali, le proprie conclamate omissioni. A due anni dallo scoppio del caso Palamara, protagonista del nuovo scivolone è l’ex magistrato Ilda Boccassini, famosa per le numerose indagini sull’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per i reati di corruzione, concussione, prostituzione minorile, abuso d’ufficio, concorso esterno in associazione mafiosa e molto altro ancora.
Nel corso degli anni di pieno apogeo del Cavaliere, Boccassini è stata il nemico numero uno per l’ex premier italiano, il quale ha denunciato più volte di essere vittima di un sistema giudiziario che lo volesse far fuori politicamente, giuridicamente e moralmente. Fino ad arrivare alle intercettazioni del defunto giudice Amedeo Franco, uno dei membri della sezione semplice della Cassazione che condannò il Cav. per evasione fiscale, e che affermava come Berlusconi dovesse essere “condannato a priori perché era un mascalzone! L’impressione è che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto. Mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero. Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo”. Gli audio esclusivi vennero messi in onda, su Rete 4, da Quarta Repubblica.
Lo scivolone della Boccassini
Durante la presentazione del suo nuovo libro, invitata qualche sera fa in Calabria per un festival antimafia, l’ex magistrato ha affermato come, in realtà, la ‘Ndrangheta qualcosa di buono lo avrebbe fatto in questi anni (e già solo la prima parte della frase fa rabbrividire). Ma è il proseguo ciò che sconforta di più: “Non ha mai ammazzato un magistrato”. L’affermazione è stata seguita da un silenzio tombale dei presenti.
Eppure, la situazione reale pare essere ben diversa rispetto a quella presentata dal magistrato. Tra i casi più emblematici, ricordiamo il magistrato Antonino Scopelliti, ucciso nel 1991 in un’azione coordinata tra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, dopo che rifiutò vari tentativi di corruzione, proprio per non rigettare i ricorsi in Cassazione degli avvocati di alcuni boss mafiosi.
Oppure, si ricordi di Francesco Ferlaino, assassinato nel 1975 quando presiedeva un procedimento contro la mafia siciliana, in qualità di presidente della Corte d’Assise. E, ancora, Bruno Caccia, ucciso dai boss calabresi nel 1983 per essersi messo sulle tracce di due narcotrafficanti, Rocco Schirripa e Domenico Belfiore, in un’inchiesta contro le Brigate Rosse piemontesi.
Seppur non facciano parte del mondo della magistratura, ma del vasto campo giuridico, si segnalano anche gli omicidi dell’avvocato civilista e penalista, Giovanni Simonetti, ucciso nel maggio 1994 dopo aver aperto la porta del suo studio a due soggetti, ancora non identificati, che lo freddarono. E un altro avvocato, Torquato Ciriaco, ucciso dalla ‘Ndrangheta nel 2002 nella provincia di Catanzaro, dopo essere stato crivellato di colpi, mentre guidava per tornare a casa dal lavoro.
Queste sono solo alcune delle vittime accertate per mano di un’organizzazione mafiosa che, ormai da decenni, semina panico e coopera con le associazioni criminali, alla base degli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che rispondono ad un unico nome, quello di Cosa Nostra. Tali martiri di Stato non possono essere più riportati in vita. Chiediamo solamente una cosa: il rispetto per chi è stato vittima della criminalità, della malavita, della delinquenza della mafia. E le frasi della Boccassini non vanno in questa direzione.
Matteo Milanesi, 4 luglio 2022