Il serrato confronto tra Giuseppe Cruciani e Nicola Porro, durante l’ultima puntata di Quarta Repubblica, mi offre l’occasione per mettere in evidenza alcuni interessanti aspetti della discussione.
In primis, sulla questione dell’opportunità o meno di presentare il suo libro da parte della nonna di Giulia Cecchettin, quasi in concomitanza del funerale della povera nipote, condivido sia le perplessità del conduttore e sia, in particolare, la piena libertà di poterle esprimere.
Inoltre, non credo affatto, come ritiene legittimamente il bravo Cruciani, che ci troviamo di fronte ad un modo piuttosto sui generis di elaborare il lutto, dal momento che, da quanto riporta la stampa nazionale, la presentazione del medesimo libro, scritto per la cronaca durante la pandemia, era stata programmata da tempo.
Ovviamente siamo nel campo molto friabile delle opinioni, tuttavia io penso che sarebbe stato più ragionevole e rispettoso in primo luogo della vittima almeno posticipare di qualche giorno la stessa presentazione, proprio per evitare speculazioni di qualsiasi natura sull’orrenda vicenda delittuosa.
D’altro canto, se proprio vogliamo dirla tutta, questa vicenda, come racconta molte bene Max Del Papa su queste pagine, è stata gonfiata oltre ogni misura accettabile dal circo mediatico a cui, oltre il mondo politico per ovvie ragioni di consenso, si è rapidamente accodata l’élite artistica e intellettuale del Paese, quasi replicando un analogo atteggiamento a senso unico espresso durante la stagione del Covid-19.
Da questo punto di vista, è assai probabile che la nonna di Giulia Cecchettin, da sempre attivista contro la cosiddetta violenza di genere, sia stata fortemente incentivata a portare avanti comunque l’iniziativa da chi le stava intorno, magari immaginando con questo di contribuire alla battaglia femminista.
Resta però nella mente di chi si sforza di trovare sempre una dimensione ragionevole e proporzionata agli eventi che riempiono le pagine dei giornali e gli spazi radio-televisivi una impressione pessima dell’enorme circo che, destinato inevitabilmente a sgonfiarsi assai presto, è stato montato intorno ad un efferato crimine individuale, trasformato in una sorta di colpa collettiva, duplicando nei maschi il peccato originale, così come descritto nel libro della Genesi.
In tale proposito, a chi non lo avesse mai visto, consiglio un istruttivo film sull’informazione di Billy Wilder, girato nel 1951, con un grande Kirk Douglas nella parte del protagonista privo di scrupoli: L’asso nella manica. Malgrado siano trascorsi oltre settant’anni, il desolante cinismo che emerge dalla pellicola non sembra poi tanto diverso da ciò che accade con una certa frequenza al giorno d’oggi.
In estrema sintesi, ciò che continua a mancare, a mio modesto parere, in tanti altri analoghi fatti che diventano rapidamente virali, se così vogliamo dire, è un minimo senso delle relative dimensioni il quale, parafrasando il compianto Franco Battiato, “non ci faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente.”
Claudio Romiti, 9 dicembre 2023
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