Rassegna Stampa del Cameo

La partita è persa. Vi resta un’ultima mossa

Rassegna Stampa del Cameo

È finita come doveva finire. Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sono incartati, Sergio Mattarella incartato lo era già (il discorso di Firenze letto fra le righe, il riferimento a maglia bernarda a un Luigi Einaudi crepuscolare, lo avevano anticipato: esistono almeno tre Einaudi non lo si dimentichi), per cui il Paese è incartato. Tranquilli, in pratica non succederà nulla, tanto siamo governati dall’osceno “pilota automatico” di Mario Draghi. I due dioscuri hanno fatto esperienza, la prossima volta, se ne avranno l’opportunità (ma non credo), questa potrà venir loro utile.

Alcuni giorni fa, con un mio tweet (li considero degli sputi intellettuali) avevo provato a sintetizzare l’unica strategia possibile nei riguardi del Quirinale: “Loro faranno il nome. Lui lo boccia. Lui fa il nome. Loro lo devono bocciare. Noi andremo, finalmente, a rivotare”. Il tweet aveva avuto 2.675 visualizzazioni con 95 interazioni totali, non so se poche o tante con 2.700 follower.

Comunque “Loro” hanno fatto a “Lui” il nome come premier terzo di Giulio Sapelli, un professore dal curriculum impeccabile al quale mancava però il “quid”: il passaggio attraverso le porte girevoli delle grandi Banche d’affari anglosassoni e le istituzioni (ove il merito è sostituito dalla cooptazione di casta), quelle che ti danno l’imprinting da “prufesur”, come è stato per i mitici Mario Monti e Mario Draghi.

“Lui” ha risposto no e “Loro” anziché gettare la spugna (come, modestamente, avevo loro suggerito con il Cameo di domenica) si sono rifugiati, gli uni sulla piattaforma Rousseau, gli altri sotto improbabili gazebo.

Posso dirlo con franchezza? Se lo fanno, sarebbe una buffonata. Meglio dire grazie no, caro Lui si faccia il Governo che vuole, visto che ne ha facoltà. E Loro voteranno contro. Ma ora il cerino è solo suo e dell’establishment.

Cari Di Maio e Salvini, sbrigatevi a gettare la spugna, più tardi lo fate, più vi fate del male. L’establishment è disperato per le nubi incombenti, diventano sempre più nere e profumano di tempesta, ma proprio per questo diventa più cattivo. Me lo hanno confermato due amici giornalisti (XY “economista” operante in Italia e XZ “politico” operante in una capitale estera) presenti a Firenze all’incontro “The State of the Union” padrone di casa Sergio Mattarella: c’era il primo sale dell’establishment italo europeo. Hanno colto un Enrico Letta rabbuiato dall’essere sempre in panchina, un Mario Draghi più salace e cattivo del solito, un Jean Claude Juncker al solito imbarazzato e imbarazzante, un Mario Monti che ormai nel periodare, quando parla con suoi pari (un’infima frazione dell’umanità), non nasconde più l’equivalenza fra merci ed esseri umani, un Antonio Tajani distrutto dal nuovo ruolo di “premier interruptus”, una Federica Mogherini affranta dal dover perdere il Nobel a favore del buzzurro Donald Trump. E poi i presidenti di Grecia e Portogallo, ultimi lobotomizzati della Troika (a proposito dove sarà finita?).

A Firenze nessun osservatore né della Lega, né del M5S mentre i “renziani” avevano la solita allineatissima Simona Bonafè. I due amici giornalisti hanno colto la disperazione dell’establishment, parlando con gli assistenti e con gli sherpa di costoro. All’ovvia domanda: qualora i due dioscuri (buzzurri) andassero al potere farete scattare il solito algoritmo: “spread elevato-default-troika” e successiva lobotomizzazione dei due? Risposte imbarazzate di chi non sa che dire di personaggi (i loro capi) che a loro volta non sanno che fare.

Per i due dioscuri è arrivato il momento di fare l’ultima mossa: indicare il nome del professor Giulio Sapelli come premier. Se venisse nuovamente bocciato, come è certo, fare, ad esempio, quello di Giulio Tremonti, se cassato, com’è ovvio, consegnare al Presidente Mattarella il cerino. A reti unificate, singolarmente, dovranno raccontare in dettaglio a noi cittadini esattamente come è andata, in modo che ciascuno di noi possa stabilire le diverse responsabilità. Mi parrebbe ovvio che sia Salvini che Di Maio rimangano a capo dei rispettivi partiti ma rinuncino a future posizioni ministeriali nel governo della Repubblica. Nel mondo della politica, ai tempi dei internet, chi fallisce (vedi Matteo Renzi e Silvio Berlusconi) è fuori: nessun ripescaggio è ammesso.

Riccardo Ruggeri, 16 maggio 2018