Politica

La pastasciutta antifà è la morte della sinistra

L’evento, organizzato dall’Anpi, è arrivato alla settima edizione a Roma. Ormai sparso in tutta Italia

© Pattadis Walarput tramite Canva.com

La politica da rivista, la politica Macario che fa le partite del cuore per allacciare le sue proposte indecenti, le sue alleanze vagamente postribolari, perde di vista un morbo tenuto in fama di irrilevante ma che viceversa mina da dentro la democrazia. Come un male carsico, un linfoma che avvelena il sangue democratico. È la violenza prepolitica, illogica, che appare in crescita e si rispecchia e si rinfaccia da un’estrema all’altra. Nel pestaggio di due esaltati di CasaPound su un giornalista ficcanaso de la Stampa alligna l’eterno fascismo estetico, il “prima si mena e poi si vede”, “nel dubbio mena”, il culto di una malintesa virilità infame, vile, da anfibi tattici, da scarponi, da crani rasati, cresciuta nella diffidenza vittimistica mussoliniana, nelle strampalate elucubrazioni razziste del barone Julius Evola, oggi riprese in modo un po’ terra terra dal generale scrittore Vannacci.

La violenza irrazionale di quaranta, cinquanta anni fa, i tempi dei sambabilini, i fascisti di piazza San Babila, rayban neri e scarpe a punta, pronti a picchiare a caso, per puro gesto estetico nel nome del neofascismo nostalgico passato come un fiume carsico e arrivato fino a qua: la ferocia assurda, paranoica del neofascista ascolano Gianni Nardi che quasi uccideva uno sconosciuto, di fianco al bancone del bar, frantumandogli sulla faccia un boccale di birra solo perché gli stava antipatico, lo sospettava un comunista. Quanto a dire due tre generazioni precedenti, ma passata come un fiume carsico fino ai giorni nostri.

Dall’altra parte, la violenza uguale e contraria delle pastasciutte antifà nell’alone del sovversivismo romantico, di ispirazione leninista, come quello organizzato dall’ANPI romana del Trullo-Magliana. Queste abbuffate coreografiche si prestano alla tentazione del sarcasmo: è facile dipingerle come accozzaglie di sbandati, di squilibrati in braghe larghe, al polpaccio, maleodoranti il giusto, rimbambiti di essenze fumate, i “salisiani”, gli adepti della compagna occupatrice finita nelle residence di Bruxelles, che teorizza azioni di lotta diretta, attiva contro i fascisti, osannata dai lunatici intenti riversare pentoloni di sbobba scotta, immangiabile. Facile e troppo facile: chi scrive, queste pastasciutte rituali, carsiche per loro parte, le ha constatate in anni lontani, da cronista ancora acerbo, e il ragù era come resta di violenza estrema e demenziale: gli inni sovversivi, le lacrime delle rimembranze, il saluto al duce del brigatismo, compagno Mario Moretti, agli altri del terrorismo onirico, e “io porco dio per me riprenderei il fucile anche subito”.

Cosa prevede il menu della pastasciutta del Trullo-Magliana? La falsa democrazia della caccia al diverso, lo stalinismo di conserva, lo statalismo maoista integrale, il disarmo unilaterale, il putinismo pacifista alla Michele Santoro, il sostegno ad Hamas. Il tutto sulle ceneri di papà Cervi “che uscì il 25 luglio del ‘43 per strada e offrì la pastasciutta per celebrare in quella maniera la più bella fine del fascismo”. I Cervi avevano tutte le ragioni e quello era fascismo di regime, reale, istituzionale; scomodarli ottanta anni dopo per le proprie ubbie sovversivistiche e terroristiche è oltre il patetico, è insopportabile. Il linfoma della violenza endemica, carsica avvelena e non passa. Con il grottesco per cui quelli che vogliono sbaraccare i centri sociali opposti, si dannano a difendere i propri. Lo sanno che sono la stessa cosa, che la violenza, la voglia irrazionale e delirante, prepolitica, di tabula rasa è identica? Che c’è al fondo l’odio totale per la democrazia di stampo europeo e occidentale? Lo sanno, ma fanno i pesci in barile, tutti, perché gli conviene. Lo Stato non si è mai azzardato, durante nessuna Repubblica, sotto nessun regime, a chiudere queste fucine di nuovo terrorismo e il suo alibi è sempre lo stesso: meglio lasciarli lì, dove possiamo controllarli, contenerli, piuttosto che renderli invisibili e incontrollabili. Ma è una balla: i balordi delle estreme stanno lì e non si nascondono, non nascondono le loro smanie terroristiche che serpeggiano e ogni tanto esplodono. E se non evolvono è solo perché anche i balordi sovversivi ormai sono sfilacciati, ridotti come tutto in questa post società al ruolo di comparse, di burattini.

Da ottanta anni ormai ci culliamo nel miraggio retorico della democrazia che è più forte di tutto, che si protegge e ci protegge metabolizzando, neutralizzando le spinte malate, i linfomi di chi vuole ucciderla. La verità è che questa nostra democrazia italiana ha avuto un curioso processo di assimilazione del peggio; è quella che ha subito perdonato e rimesso in circolo il fascismo grazie al patto fra il democristiano De Gasperi e il comunista Togliatti; è la democrazia che faceva fuggire impuniti gli stragisti neri delle bombe sui treni e nelle piazze, che forniva trattamenti di favore ai macellai di via Fani, di Aldo Moro. A tenerla insieme in un modo o nell’altro fu il capitalismo “delle cose” e del consumismo che non piaceva a Pasolini, per molte ragioni, alcune delle quali fondate, altre ipocrite, di un razzismo estetico e sociale avvolto nell’ecumenismo patetico e poetico. Quel capitalismo, senz’altro ingiusto e crudele, sapeva però creare sempre nuovi miraggi come ragioni di vita, macchinette e elettrodomestici migliori, orizzonti effimeri ma seducenti, vacanze fantozziane, passioni sportive, il consumismo straccione che convinceva il grosso delle masse che era meglio vivacchiare di qua che crepare alla luce del sol dell’avvenire del blocco sovietico, un avvenire che non veniva mai.

Con lo spirare del capitalismo delle cose e delle scoperte che miglioravano la vita, si è esaurita anche la funzione contenitiva della nostra democrazia. Il passaggio del potere reale dalla produzione alla finanza (e alla comunicazione), l’affermarsi incontrollato della tecnologia del controllo spacciata come ludica, la delega in bianco alle entità burocratiche sovranazionali, hanno determinato il ritorno di antichi germi autoritari, come si è visto con il Covid. La politica influencer ha assecondato tutto, e in parte perché non lo capiva, e in parte perché, ancora una volta, le conveniva, ne era divenuta parte attiva, i suoi anticorpi etici e civili li aveva esauriti da un pezzo. Oggi la politica parla esclusivamente di sé, che è come parlare di niente: parla delle partite del cuore, delle alleanze tattiche, di affari alla luce del sole. E nella sua assoluta perdita di senso compiuto sta lo stato terminale della democrazia, da negativa a negata, ad autofagocitata.

Con le estreme nostalgiche che non finiscono di odiarla, ma così come si odia qualcosa che non c’è più. Esattamente come i brigatisti degli anni Settanta i quali sapevano benissimo, ma non potevano ammetterlo, che la robotica nelle fabbriche aveva già messo in fuori gioco la classe operaia e le sue residue ubbie rivoluzionarie. Oggi allo stesso modo i nostalgici non sono disposti ad accettare che la loro lotta è contro i fantasmi; che abbiamo già oggi, dentro, una forza ancor più malata, l’Islam politico, che anche in Italia se appena vuole travolge tutto, gli estremisti patetici, le pastasciutte fasciste e antifasciste, la politica ballerina e la sua democrazia decomposta, orripilante come una puttana ottantenne rifatta.

Max Del Papa, 22 luglio 2024

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