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Storia delle nostre paure alimentari (Alberto Grandi)

Storia delle nostre paure alimentari (Grandi)-1

Storia delle nostre paure alimentari. Come l'alimentazione ha modellato l'identità culturale

Autore: Alberto Grandi
Anno di pubblicazione: 2023

La storia alimentare (non so neanche se esista in effetti un ramo della storiografia così codificata) è davvero illuminante per svelare tanti pregiudizi che ancora circolano sul cibo. E sull’appropriazione “politica” che se ne fa, a sinistra e a destra. Ma è anche fonte di
inesauribili aneddoti.

In pochi sanno che Waterloo fu per anni un mistero. Non ovviamente sull’esito militare, né tanto meno per la contabilità dei morti: almeno 40mila in poche ore. Ma per la totale scomparsa dei resti dei deceduti. Un mistero che l’industria alimentare non considerava certo tale. Tonnellate e tonnellate di ossa umane e animali furono utilizzate dall’industria saccarifera, guarda caso fiorente proprio in quella zona, per sbiancare lo zucchero grezzo. Uno scandalo, alimentare e politico, ma che si chiuse nel buio più assoluto. Pochi ricordano come il pomodoro di Pachino sia il prodotto meno italiano che ci sia (si esagera), come d’altronde il pomodoro è così poco europeo: il Pachino è figlio di un seme di una multinazionale israeliana che lo sviluppò in Sicilia alla fine degli anni ’80.

Tante di queste storie ci arrivano da un’autorità assoluta in questo campo, Alberto Grandi, che insegna a Parma Storia dell’Alimentazione. Grandi è uno studioso che farebbe andare di traverso, è il caso di dire, a buona parte della politica molti cavalli di battaglia oggi popolari:
dalla carne sintetica alle farine degli insetti. Ha un approccio storico e scientifico. Nel suo Storia delle nostre paure alimentari colpisce ad esempio il suo capitolo sugli odiati Ogm. Con tesi che sarebbe fondamentale leggere anche quando si parla di natura e clima. Ma questo è un altro discorso. Grandi ci spiega come il pregiudizio contro gli Organismi geneticamente modificati derivi «spesso da una forma inconscia di idealizzazione della natura, che per definizione è buona, bella, giusta, florida».

Solo una società industriale e post industriale che ha perso il «contatto con il mondo reale» può cadere in questa trappola: la natura non è affatto giusta, per dirne una. Inoltre dai tempi dei tempi «gli uomini si sono sostituiti alla Natura selezionando quelle mutazioni che facevano comodo a loro, ma che la pressione ambientale avrebbe spazzato via… Sono più di 10mila anni che modifichiamo la natura e sono quasi 100 anni che solo il 2-3 per cento della popolazione deve lavorare nei campi, prima su cento uomini serviva il lavoro di 80 di loro, per sfamare i restanti 20, che facevano altro».

Paradosso dei paradossi: ce la prendiamo con i pochi grandi privati che sperimentano in questo campo. Dice Grandi: «se si volesse davvero combattere davvero l’egemonia di pochi bisognerebbe restituire libertà alla ricerca pubblica che invece oggi in Italia e in una certa misura anche in Europa è fortemente limitata». Chi ha orecchi per sentire, capisce bene.

Nicola Porro, Il Giornale 3 settembre 2023