Esteri

La Polonia si ribella ai diktat dell’Ue - Seconda parte

A tutto questo si aggiungano gli attriti politici di questi ultimi mesi, dalle tensioni sui fondi del Pnrr alla richiesta (insieme ad altri 11 Paesi) di finanziare coi fondi comunitari la costruzione di “muri” di filo spinato contro l’immigrazione clandestina. E il quadro è completo.

Lo schiaffo polacco all’Ue

Il pronunciamento polacco suona come uno schiaffo all’Unione, in un momento di grossa difficoltà politica. Il neo isolazionismo americano costringe l’Europa a cercare il suo posto nel mondo senza l’appoggio Usa. E l’addio della Merkel alla scena politica tedesca apre un vuoto di leadership non ancora del tutto riempito né dall’Italia né dalla Francia. Varsavia sta sostanzialmente ricordando alla Commissione che l’integrazione europea non va data per scontata. Per quanto la Polonia sia creditore netto nel bilancio europeo, e benché il premier Mateusz Morawiecki ripeta che il loro posto è nell’Ue, questo non significa che tutto sia rose e fiori. Anzi. In caso di “conflitto insanabile” tra il diritto comunitario e quello polacco, la Corte suprema polacca ricorda quello che solo i burocrati europei fingono di non vedere. Ovvero che una delle conseguenze “naturali” sarebbe l’uscita della Polonia dall’Unione Europea.

Questo non significa che la Polexit, già evocata da più parti, sia dietro l’angolo. Ma certo suona come un campanello d’allarme, che certo Bruxelles non può risolvere gridando all’orrore sovranista. Tradotto: occhio, perché stare insieme conviene a tutti, ma non ad ogni costo. Inutile puntare il dito contro il mostro nazionalista: sulla sovranità non si scherza. Anche perché se Varsavia decide di tirare la corda, l’Ue che fa: manda i carri armati?

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