La premier finlandese vuole toglierci la libertà di lavorare

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La sinistra italiana riparta dall’ormai mitica premier finlandese. Riparta o riparti? Bisognerà chiedere ai letterati organici, i Saviano, le Murgia, i Lerner, nel dubbio privilegiamo la variante Filini: la sinistra riparti dalla premier finnica, Sanna Marin. Perché è donna, perché è figlia di due mamme, perché è giovane, perché è belloccia, perché appunto è di sinistra. E perché, anzitutto, spara certe imbecillate mica da ridere, l’ultima teorizza una settimana cortissima di stato: 4 giorni di lavoro la settimana per 6 ore al giorno non un minuto di più. Variante postliquida del famoso obiettivo marxista, lavorare poco e poi dedicarsi alla caccia, alla pesca, alla speculazione. Bene brava bis.

Se una trovata del genere, escogitata duecent’anni fa, non ha mai trovato applicazione, un motivo ci sarà; e se oggi più che mai appare lunare, nell’estrema complessità delle società intrecciate, qualche motivo esisterà, facciamo solo il più terra terra degli esempi: fanno una strage di sabato, che facciamo? Dei morti ce ne catafottiamo, i moribondi li lasciamo lì ad agonizzare, siccome c’è la settimana Incom dello spasso? Sanitari, paramedici, prontosoccorsi, forze dell’ordine, pompieri, tutti a dedicarsi alle loro famiglie, pardon, reti informali? E poi l’informazione, che ormai erutta notizie e commenti senza soluzione di continuità? La favolosa New York, la città che non dorme mai (come tutte le metropoli planetarie, oramai), la mandiamo in stand-by dal giovedì pomeriggio? E la rete, come facciamo con la rete e le sue infinite possibilità? La chiudiamo dal venerdì al lunedì?

Siamo alla cazzata monumentale, e, fosse solo questo, potremmo cavarcela con una scrollata di spalle. Il fatto è che ci troviamo di fronte, viceversa, a qualcosa di assai più insidioso, all’insufflazione di decrepite ideologie riverniciate di fresco che non risparmiano nessuna parete, dalla religione alla cultura, dal linguaggio alla sessualità, dalla democrazia al lavoro. Siamo al ritorno, sia pure con la bella faccetta della Saardinen Sanna, del “lavoro di merda” postulato da Toni Negri. Poi, per dire, finisci in Veneto, nel Trevigiano, per un libro-inchiesta e trovi questa curiosa specie di individualisti sociali, matti come cavalli, determinati a preservare la loro libertà esistenziale, e dunque anche professionale, nella non sbagliata convinzione che è solo con quella che poi si può far crescere la collettività. A un trevigiano (ma non solo a lui) togligli quell’anarchia solidale, quel localismo che dal dialetto s’allarga al mondo, e non è più niente. Questa è gente che dice “io per me vado in capannone a lavorare anche a Natale”, ma ha un senso della propria terra e della propria cultura che non è trattabile, non è scalfibile.

Il punto è che io debbo essere libero, debbo restare libero di decidere come e quanto e quando lavorare, se voglio. Se voglio. Faccio, ancora una volta, un esempio, anzi il più trascurabile degli esempi visto che riguarda me stesso. Quando, a febbraio, mi mandano a Sanremo, a seguire il Festival, mi capita di restare crocifisso in sala stampa anche per 15 ore di fila. Così per una settimana intera. Arrivo alle dieci, smonto alle due, le tre, e poi ricomincio. Torno a casa che ho perso tre chili. Ma non mi lamento. Come me, quasi tutti i miei colleghi. E, come me, neanche loro si lamentano. Perché, al di là della fatica, della noia, dell’alienazione, ci piace quello che facciamo. Ci piace lavorare, impegnarci, tentare di fornire la migliore professionalità possibile. E non è per questo che ci sentiamo sfruttati, che ci sale la lotta armata contro il padrone sfruttatore. Dice Ayn Rand ne “La fonte meravigliosa”: Non riconosco il diritto di nessuna persona su un singolo minuto della mia vita, né su una sola particella della mie energia. Io desidero dichiarare che sono un uomo che non esiste per gli altri (…). L’integrità del lavoro creativo dell’uomo è più importante di qualunque sforzo caritatevole. Non riconosco alcun obbligo verso gli uomini tranne uno: rispettare le loro libertà e non prender parte ad una società di schiavi.

Ognuno, se lasciato nella sua individualità, può sentirsi artista, vivere, nei suoi limiti, almeno un po’ da artista. E i limiti però contemplano una libertà di movimento che è incompatibile col controllo di stato. Doveroso, pleonasticamente, tutelare i lavoratori deboli, sfruttati, spremuti; ma non è con queste misure da sardina grillina che si otterrà maggiore giustizia sociale, anzi il contrario, queste sono trovatine petalose, inconsistenti, e fastidiosamente idiote. La Saardinen Premier ha licenza di delirio: “Una settimana lavorativa di quattro giorni, di sei ore ciascuno, con lo stesso stipendio [sic!]. Perché non potrebbe essere il prossimo passo per la Finlandia? Otto ore sono davvero l’unica scelta possibile?

Credo che le persone meritino di trascorrere più tempo con le loro famiglie, con i propri cari, dedicandosi agli hobby e altri aspetti della vita, come la cultura. Questo potrebbe essere il prossimo passo per noi”. Non c’è nessun senso in queste affermazioni farneticanti, non c’è aggancio con la realtà, non valutazione delle conseguenze possibili, non una controprova di fattibilità. Solo scemenze teoriche da ragazzina viziata e del tutto incapace di rapportarsi a una concretezza sociale. Ma arrivano da una mitica premier finlandese eccetera eccetera, osannata in queste ore dalla sinistra, radicale e/o sedicente riformista, vale a dire da quei padroni del vapore illuminati che non si fanno scrupolo di pretendere sempre più da chi da loro dipende: e senza limiti di disponibilità. Gesù, in che mani di farisei siamo.

Max Del Papa, 4 gennaio 2020

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