Ci sono momenti storici ed episodi che contribuiscono a formare una coscienza nazionale, molto spesso sono legati a eventi bellici che, nel bene e nel male, hanno plasmato la storia italiana nei secoli scorsi. La Grande guerra è ricca di celebri battaglie, la sconfitta di Caporetto ha segnato intere generazioni di italiani e nella drammaticità della ritirata del nostro esercito, è nata la rivalsa sul Piave. Nella seconda guerra mondiale El Alamain è diventato un simbolo del coraggio e del sacrificio dei militari italiani ma ci sono battaglie che sono entrate nell’immaginario collettivo addirittura assumendo un significato linguistico per il luogo in cui si sono combattute. È il caso della battaglia dell’Amba Aradam avvenuta nel 1936 che de facto sancì la conquista italiana dell’Etiopia assumendo un simile carico simbolico che l’ha portata a diventare una vera e propria espressione: è un “ambaradan” per indicare una situazione disordinata, caotica e di grande confusione.
Solo la burocrazia romana poteva immaginare di costituire la sede dell’Inps – simbolo dell’italica macchina statale con tutte le conseguenze del caso – in Via dell’Amba Aradam. Ora questa strada nel quartiere San Giovanni di Roma, divenuta negli anni un’arteria simbolica e cara a tutti i romani proprio in virtù del suo nome, è finita sotto le scure del politicamente corretto. Prima a metà giugno l’azione degli attivisti della “Rete Restiamo Umani” che hanno rinominato la strada Via George Floyd chiedendo che la stazione della metro C di prossima apertura non porti il nome della battaglia, oggi con la proposta di Virginia Raggi che vuole accogliere il cambio di nome della fermata della metropolitana. Di qui l’idea di dedicare al partigiano nero Giorgio Marincola, figlio di una donna somala e di un maresciallo di fanteria italiana, ucciso dai tedeschi nel 1945 a soli 22 anni, la nuova stazione della metro C.
La proposta del sindaco Raggi è stata accolta da Amin Nour, tra i fondatori dell’associazione Neri italiani Black italians e membro del movimento Black lives matter Roma, che ha dichiarato: “È un grandissimo segnale per il Paese: non solo perché si ricorda che anche gli italiani neri hanno combattuto nella resistenza e per creare l’Italia che abbiamo oggi, ma anche perché si dimostra di voler riconoscere tutti i cittadini, a prescindere dal colore della pelle”. Nour è il classico esempio di memoria alterna e omette di ricordare (o forse non lo conosce proprio) il ruolo svolto dagli ascari, i militari eritrei – tutti di colore – che facevano parte dell’esercito italiano ed erano fedelissimi uomini che combattevano per il tricolore.
D’altro canto c’è chi ancora oggi definisce “l’esercito fascista” i militari italiani negli anni del Ventennio, nonostante il nostro esercito fosse formato in larga parte dai reduci della Grande guerra. Ben venga celebrare la figura di Marincola ma il suo ricordo non può e non deve cancellare un’importante vittoria militare italiana che è entrata a far parte della storia nazionale nonostante la pagina buia dell’utilizzo di gas per sfiancare la resistenza etiope che va senza dubbio condannata. La Raggi dedichi a Marincola un’altra via o piazza ma lasci stare le toponomastica che ricorda, pur con le sue contraddizioni, la storia italiana del Novecento, il delirio della cancel culture lasciamolo ad altri.
Francesco Giubilei, 31 luglio 2020