“Arrivare e partire che gusto mi dà, sono un mago-poeta con due identità, sono quel vagabondo che pace non ha, amo solo me stesso e la mia libertà. E apprezzo la donna, le sue ambiguità, la bellezza in se stessa, la spontaneità, sono quel vagabondo che pace non ha, io non sono fedele, amo la fedeltà”.
Fin qui si tratta della trascrizione di una canzone, in versi, del cantante spagnolo Julio Iglesias, il testo di una delle sue cantate più famose, Sono un vagabondo. Ebbene, oggi nella civiltà occidentale che ha scelto la sorveglianza e la punizione, come metro di governo delle proprie paure (e non ha scelto invece le libertà responsabili ai tempi del Covid-19), di quel che canta Iglesias non si può più far nulla. O quasi. L’autoritarismo sanitario ha travolto infatti anche i nostri desideri. I nostri sogni. E tutto è diventato nostalgia: i viaggi, la discoteca, la partita di calcetto con le fidanzate che si abbracciavano in tribuna, una cena libertina con baci a destra e pure a manca.
Eppure quei costumi e quei comportamenti sono il sale della democrazia, della vita libera. Perché la libertà non sono certo gli editoriali di Massimo Giannini sulla Stampa o i pezzi di cronaca di Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera. Quelli son punti di vista. Cronache, tutt’al più. La libertà è un’altra cosa. Sono i comportamenti, le azioni, il gusto di fare ciò che si vuole (se non è reato).
Anche per questo uscire da un autoritarismo, governato dalla paura, dagli annunci dei virologi, da una politica timida e da una stampa sanitaria, è oggi la cosa più difficile per le democrazie occidentali. Ma è comunque il punto. Bisognerà uscirne, prima o poi, per tornare a vivere e a essere liberi. Noi, con i nostri progetti. I nostri desideri. Le nostre follie.