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“La rivoluzione di Milei”. L’Economist lo incorona, panico tra i detrattori

Il settimanale britannico pubblica un’inchiesta a un anno dalla vittoria in Argentina. E il verdetto è positivo: tagli alla spesa pubblica e meno inflazione, l’anarco-capitalismo corre

Milei Argentina © Allexxandar e PhonlamaiPhoto tramite Canva.com

C’è un articolo dell’Economist su Javier Milei che, ovviamente, i giornali italiani si sono ben guardati dal rilanciare anche nel Belpaese. Il motivo? Troppo favorevoli i commenti verso il presidente argentino che i nostri dotti editorialisti avevano tacciato di essere pazzo, fascista e scriteriato prima ancora che potesse mettere in pratica le sue idee. Che sono sì “rivoluzionarie”, come dice anche l’Economist, ma non necessariamente folli.

Il settimanale britannico ha analizzato le misure prese dall’uomo dalle folte basette ad un anno dalla vittoria del candidato anarco-capitalista, tutto afuera e motosega. L’Economist ricorda che, nonostante i tanti mesi alla Casa Rosada, Milei continua ad “odiare” lo Stato che adesso dirige. È come se si sentisse una “talpa” che giorno dopo giorno erode le fondamenta di quell’ente che in Argentina tutto dominava con pessimi risultati (inflazione alle stelle, spesa pubblica a gogo e regolamentazione asfissiante). “Tutto quello che posso fare per eliminare l’ingerenza dello Stato, lo farò”, diceva il presidente al suo insediamento. Ed è quello che sta attuando: “Il risultato è stato migliore di quanto quasi tutti si aspettassero – scrive il settimanale-: l’inflazione è in netto calo, la spesa pubblica è inferiore di quasi il 30% in termini reali. Questi successi potrebbero ancora essere invertiti; La storia recente dell’Argentina è costellata di riforme economiche fallite. Ma rafforzato dalla chiarezza delle sue convinzioni e immerso nella teoria del libero mercato, Milei ha maggiori possibilità rispetto a coloro che lo hanno preceduto”.

Insomma: come ogni previsione sbagliata da parte degli editorialisti italiani, il Paese sudamericano oggi sarebbe dovuto essere nel caos più totale e invece “i suoi due pubblici, i mercati e gli argentini, sono felicissimi”. Le agenzie di Rating hanno dimezzato le stime di rischio di default, assestandosi al livello più basso negli ultimi cinque anni. E Milei aumenta la sua popolarità nonostante la raffica di licenziamenti e di taglio alla spesa pubblica. In fondo l’inflazione dal 13% pesava come una tassa occulta su tutti gli argentini e oggi, dopo meno di un anno di cura Milei, è scesa al 3%. “La riduzione – analizza l’Economist – si basa sul brutale taglio dei costi operato da Milei. Ciò impressiona i mercati. Ha condotto una campagna brandendo una motosega, poi ha realizzato un surplus primario nel suo primo mese – e da allora in poi ogni mese”.

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Per evitare che il costo dei tagli ricada troppo sui cittadini, Milei ha dato una grossa sforbiciata alla bestia statale e ad ogni forma di assistenzialismo e di spesa pubblica clientelare. “Ha tagliato il numero dei ministeri da 18 a otto – ricorda il settimanale – ha ricoperto la stragrande maggioranza dei lavori pubblici e ha posto fine alla maggior parte dei trasferimenti ai governi provinciali. Secondo Invecq, una società di consulenza economica argentina, quest’anno la spesa sia per gli stipendi pubblici che per le università è inferiore del 20% in termini reali rispetto al 2023. Tuttavia, il risparmio maggiore è arrivato mantenendo basso il valore reale delle pensioni”. Una amnistia fiscale ha poi permesso il rientro in patria di circa 20 miliardi di dollari prima nascosti “sotto il materasso o nei conti offshore”, effetto della fuga di capitali dovuta alla gestione populista dell’economia da parte dei peronisti. Migliorano anche le riserve estere della banca, che negli ultimi anni tramite fasulli “trasferimenti temporanei al governo” di fatto continuava a stampare moneta come se non ci fosse un domani.

Altro giro, altra corsa. MIilei ha anche cercato di tagliare la burocrazia, dai viaggi aerei agli affitti, incluso il divorzio e l’acquisto di internet via satellite. “Ha dimostrato che l’espansione costante dello Stato non è inevitabile”, si legge nell’editoriale dell’Economist. Certo non è tutto rosa e fiori, come ogni “rivoluzione” o cura medica. “I tagli fanno male – spiega il settimanale – L’economia è entrata in recessione quest’anno e la disoccupazione è aumentata. La percentuale di argentini poveri è salita al 53%, rispetto al 40% del 2023. Ma la recessione sembra aver toccato il fondo”. Era atteso. Ma Milei punta tutto sulla crescita che, assicura, presto dovrebbe arrivare e “contribuire ad alleviare la povertà e la disoccupazione, anche se aumenterà la pressione inflazionistica”. Da qui l’idea di nuovi “incentivi agli investimenti, come agevolazioni fiscali pluridecennali ed esenzioni doganali”.

Sul campo estero, al netto delle dure parole in campagna elettorale contro Cina e Brasile, da presidente Milei sta mantenendo una “responsabilità istituzionale” e quando si presentano occasioni buone, come la vendita di gas a Lula, non si è mai tirato indietro.

Certo il lavoro non è concluso. C’è tutta la questione del tasso di cambio del pesos che potrebbe presentare alcune grane all’esecutivo. E non è detto infine che alla fine la “cura Milei” faccia i miracoli di cui ha bisogno l’Argentina. Ma una cosa è certa: il paventato disastro teorizzato dai tuttologi italiani, inclusa quella analista che ipotizza l’incremento della mortalità infantile, non s’è palesato. Lo certifica l’Economist.