Quest’anno, la Federazione Russa crescerà più di Germania e Gran Bretagna, e come Francia e Italia. Sono queste le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale per il 2023, con un dato che balza subito all’occhio: le sanzioni imposte da quattro potenze del G7 – ormai da più di un anno – non sembrano aver fermato la macchina economica russa, come invece sperato dall’alleanza atlantica. Lo ha analizzato il giornalista Federico Fubini, a colloquio con Alexandra Prokopenko del Center for East European and International Studies di Berlino, nonché ex consigliere della banca centrale russa fino allo scoppio della guerra in Ucraina.
L’obiettivo delle sanzioni
L’idea europea e americana, fin dall’inizio, è stata quella di congelare le riserve valutarie di Mosca detenute all’estero, per poi applicare restrizioni a singole persone (soprattutto oligarchi), beni detenuti fuori dalla Russia, ma soprattutto limitazioni bancarie e tecnologiche. Il sistema avrebbe dovuto portare l’economia di Putin al collasso, dovendo necessariamente scendere a patti per concludere i combattimenti in Ucraina.
Era lo stesso Fondo Monetario Internazionale a prevedere un tracollo di quasi l’11 per cento del Pil russo nell’arco di un biennio. Specificatamente 8,5 per cento nel 2022 e 2,3 per cento quest’anno. Ma ecco che Fmi ha rivisto le percentuali di 9,4 punti, assestando la perdite russe per una percentuale che si aggira intorno al 2 per cento. E questo per due ragioni fondamentali.
Gli errori occidentali
La prima, ovviamente, consta di una crescente sopravvalutazione dei Paesi occidentali, che ritenevano l’economia del Cremlino di fatto legata alle forniture europee. Insomma, uno stesso scenario che a parti inverse abbiamo visto con il petrolio e gas russo proveniente da Mosca in Europa, poi consolidato dalla Germania con la costruzione dei due gasdotti Nord Stream.
Al contrario, la Russia può contare su un mondo al di fuori del nostro continente. Non solo la Cina, ma anche India, Malesia, Singapore, per poi passare alle ex repubbliche sovietiche come Kazakhistan e Armenia. A ciò, si affiancano anche la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti. Tutti questi Paesi stanno prosperando come intermediari nel commercio russo, garantendo alle importazioni di Mosca il ritorno ai livelli pre-guerra già nel novembre 2022.
Per approfondire:
- Ecco come Putin si fa beffe delle sanzioni
- Il flop delle sanzioni: l’economia russa non crolla
- Russia, i dati confermano: le sanzioni non funzionano
La seconda ragione risiede invece in molte aziende occidentali, che a partire dal 2014 hanno cercato di sviare agli effetti delle sanzioni imposte nei confronti delle controparti russe. Gli Stati Uniti, per questo motivo, hanno multato Microsoft per la cifra da capogiro di 3,3 miliardi di dollari perché una filiali aveva concluso – nel biennio 2016-17 – accordi con due società della Federazione sanzionate. Tra l’altro, due aziende che lavorano nel campo infrastrutturale e militare, in particolare impegnate nella costruzione del Ponte di Kerch – che collega la Crimea alla Russia – e nella produzione di navi da guerra. In Italia, caso analogo è avvenuto con la società Danieli, che in precedenza aveva fornito – anche nel corso del conflitto in Ucraina – tecnologie per la produzione di acciaio alla russa Severstal.
Le aziende sviano le sanzioni
A ciò, si sono affiancate la società americana quotata in borsa SLB e l’italiana Buzzi Unicem, grandi produttrici di servizi petroliferi e di cemento, che fin dall’inizio del conflitto stanno riuscendo a sviare le sanzioni occidentali attraverso le proprie filiali russe. Queste ultime, infatti, essendo situate in Russia, non hanno alcun obbligo nel rispettare la legislazione europea e americana. Per questo il tutto rientra perfettamente nella legalità, addirittura con un aumento di fatturato perché i concorrenti occidentali si sono volontariamente ritirati. Le forniture occidentali si rinvengono addirittura nelle armi russe, come dimostrato dal rapporto del capo dell’ufficio presidenziale di Zelensky e da Michael McFaul della Stanford University, in particolare nei missili e nei droni della Federazione nei quali sono stati trovati i microchip atlantici.
In definitiva, le sanzioni hanno bloccato il miliardo di dollari giornalieri che l’Occidente destinava a Putin, finanziando direttamente le proprie aziende, ma non ha per nulla abbattuto l’economia russa, come invece era nelle intenzioni della leadership occidentale. Il tutto garantito anche dalla politica del Cremlino di vendere le proprie materie prime a prezzi scontati e acquistare le tecnologie europee attraversi i propri Stati intermediari. Ora, l’obiettivo di Mosca è quello di risanare il gettito derivante dal gas russo, che solo nel 2022 valeva la metà delle entrate pubbliche. Oggi, quei dati contano perdite pari al 45 per cento, che Putin starebbe cercando di arginare anche attraverso una tassa sugli extra-profitti delle imprese e l’obbligo delle imprese occidentali, che lasciano la Federazione, di pagare un contributo in denaro. Una politica economica che sta tenendo in vita la Russia. Contro ogni aspettativa dell’Occidente.
Matteo Milanesi, 9 maggio 2023