La sala dei nonni: l’armonia di un ricordo

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Nonni ricordo 02

Pesante, campeggiava nella sala da pranzo dei nonni un mobile grande con vetri rettangolari, posti simmetricamente per mostrare simmetricamente il contenuto prezioso, una credenza di noce massello Tanganika, acquistata a caro prezzo nell’ottobre del 1986. Un gran bel legno lavorato che ostentava la sua gravosità al primo sguardo e strizzava l’occhio al tavolone lungo lì davanti, anch’esso di noce, attorniato da sedute altrettanto presuntuose. Quella sala raccontava il sudore dei miei nonni che fieri mostravano il museo di vetrinette, custodi di cimeli gioiosi: piatti smaltati, bordini dorati, bicchieri di Murano. Servizi così buoni che di rado si sono spostati da lì, pena il logoramento, il cambiamento.

Da ragazzina ammiravo quel mobilio per la sua fissità e grandezza, credevo che la stasi manifesta fosse l’unica condizione per stare al mondo con coraggio, come uno scoglio solitario tra le onde, ancorato alle viscere della terra, immutabile e forte. E invece quella credenza, che ha rinunciato a farsi vascello, ora è in una discarica. Un vascello, una barca, una povera zattera di assi legati, uniti con una corda alla bell’e meglio. Ci si deve attrezzare con quel che c’è, anche con la credenza di rappresentanza se necessario, perché si muove tutto, come il nucleo esterno della Terra; la stasi è solo apparente, è un’illusione, anche i nostri atomi, mentre noi fissiamo i pensieri, si urtano tra loro e fanno casino.

Da piccolissimi assecondiamo i movimenti, ci viene facile come respirare, ma poi sentiamo la necessità di fermare il divenire, come per acciuffare il tempo e governare noi stessi e il resto. Questa presuntuosa illusione irrigidisce i nostri pensieri che si fanno pesanti, pesanti, si piazzano nel centro della nostra sala da pranzo, ci attraggono con la bella argenteria in vista, ma anestetizzano la grande opportunità che abbiamo di lasciarci commuovere. “Commuoversi non significa piangere, ma muoversi insieme alle cose, averne il medesimo ritmo, il medesimo passo, il medesimo polso”, spiega Pierluigi Cappello.

Non è necessario sforzarsi, basta spogliarsi per permettere al nostro primo verde di lambire gli eventi in una danza costante, assecondandoli come fossero dei pazzi che hanno sempre ragione. È un’armonia intelligente, mai doma, solo all’apparenza ferma, perché la dinamica è in noi e se le permettiamo di agire, muterà il nostro pensiero profondo, anche il più ossessivo, come una zolla di terra rovesciata da sotto in su, scoperta, al sole. “Un uomo seduto che legge non sta fermo, anzi: quanto sta più fermo e concentrato sulla lettura, tanto più è alle prese con un viaggio nelle profondità cosmiche di sé stesso, come se la velocità si fosse cristallizzata in assenza di movimento”, Pierluigi Cappello.

Fiorenza Cirillo, 18 settembre 2024

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