Il decreto cosiddetto rilancio contiene molte chicche al suo interno. Una in particolare ci ha colpito. La troviamo a metà strada, quasi, all’articolo 180. Se non abbiamo interpretato male (può sempre succedere in questi casi) essa prevede una particolare depenalizzazione per coloro che gestiscono gli alberghi. Diciamo subito che per chi scrive si tratta di cosa buona e giusta. La sostanza è la seguente. Nel passato se un albergatore si fosse intascato la tassa di soggiorno che è obbligato ad esigere ogni giorno ai propri ospiti, sarebbe finito in galera. A leggere il terzo e il quarto comma dell’articolo 180 del nuovo decreto, da oggi ciò non è più reato: l’albergatore dovrà pagare una sanzione amministrativa.
Verrebbe da dire, una norma di buon senso. Gli albergatori sono dei sostituti di imposta. Ogni giorno sono costretti dalla legge a prendere una manciata di euro dai propri clienti e trasferirla ai comuni. La sanzione più logica per chi fa il furbetto è quella di fargliela pagare. Ma come sapete il nostro legislatore in materia fiscale è durissimo: manette agli evasori e così andando.
La cosa ci è subito balzata agli occhi per due ordini di motivi. Il primo riguarda l’atteggiamento in genere “manettaro” di questo governo nei confronti delle imprese. E non solo. Basti pensare che, commettendo una evidente forzatura giuridica, i primi decreti del presidente del Consiglio prevedevano sanzioni penali per chi evadesse dal lockdown. E questo governo continua ad essere molto equivoco sul rischio che il datore di lavoro (compreso un albergatore) subisca un processo penale se un suo dipendente si dovesse ammalare di Covid. La seconda ragione riguarda proprio il settore dell’ospitalità: tra i più colpiti dall’emergenza economica e a cui meno è stato dato.
È interessante notare come la questione del mancato versamento della tassa di soggiorno da parte di un albergatore al comune di Roma, avesse l’anno scorso clamorosamente interessato il “suocero” (il padre della fidanzata in realtà) proprio del presidente del Consiglio. Cesare Paladino, proprietario di un hotel in centro a Roma, secondo la procura avrebbe intascato tra il 2014 e il 2018 circa due milioni di euro dai propri clienti senza girarli a Virginia Raggi. Per questo motivo fu prima indagato e poi condannato. O meglio patteggiò la pena a poco più di un anno. Il reato che il pm, Paolo Telo, gli contestava era quello di peculato.
Proprio ieri l’avvocato Lorenzo Contrada, in difesa dei suoi assistiti amministratori dell’Hotel Radisson, si è opposto alla loro richiesta di rinvio a giudizio per peculato (stessa storia di tasse di soggiorno incassate e non versate al comune), proprio in virtù della depenalizzazione prevista del decreto rilancio. Sia chiaro, questi signori, se trovati colpevoli, dovranno pagare le loro sanzioni amministrative, ma non rischiano più la sanzione penale. Si può legittimamente pensare che anche per coloro già condannati, come Paladino, possano cessare alcuni effetti laterali della sentenza di patteggiamento.
Anche se non è gran cosa, posto che, immaginiamo, la sentenza di patteggiamento sia a distanza di un anno passata in giudicato. Per concludere. Il legislatore adottando la via della depenalizzazione fa cosa buona e giusta. Anzi ci auguriamo che estenda questo nuovo atteggiamento ad altri settori dell’economia. Ma per un attimo permetteteci di pensare che cosa sarebbe successo se presidente e cognato fossero stati relati al governo Renzi o Berlusconi. È la solita storia. Come quella che ha riguardato il ministro Bonafede: il sospetto per i nuovi savonarola non è più l’anticamera della verità.
Nicola Porro, 24 maggio 2020