Partecipiamo a un gioco mentale e proiettiamoci circa una quarantina di anni addietro. Immaginiamoci pm impegnati nelle indagini sul terrorismo che, nello stesso tempo, partecipano a convegni organizzati dall’ultrasinistra al nome di «né con lo Stato né con le Br» (ma più con le Br) e contro «le leggi di polizia». Come avrebbero reagito i ministri dell’interno di allora, Francesco Cossiga, Vittorio Rognoni, Oscar Luigi Scalfaro?
Per fortuna i clandestini (o «migranti irregolari», altrimenti l’Agicom multa) non rappresentano un pericolo paragonabile a quello terroristico. Ma dal punto di vista formale (e la legge è soprattutto forma) non cambia molto. Quale credibilità possono vantare, nelle sentenze su immigrati e sicurezza, magistrati che si spendono pubblicamente in convegni, firmando appelli, rilasciando dichiarazioni, in cui la politica del governo viene non solo criticata, ma demonizzata e paragonata a pagine, queste sì nere, della storia italiana? A nostro avviso, scarsa.
Il magistrato è certo un cittadino, ma non è un cittadino come gli altri, come non lo sono il militare o il poliziotto, Da servitori dello Stato dovrebbero misurare la propria parola pubblica, utilizzare l’arte della prudenza e della discrezione: o perlomeno, evitare di intervenire su dossier in cui sono implicati nelle loro indagini.
Ma sei Alice nel paese delle Meraviglie? chiederà qualcuno. È da una vita che si comportano così. Non è tuttavia una buona ragione per continuare a tollerare questa situazione. Ha fatto quindi benissimo Salvini a denunciare il diciamo «conflitto di interessi» di alcuni magistrati e soprattutto a richiedere un’indagine informale. Certo, che se ne occupi il Viminale è curioso, visto che sarebbe uno dei compiti del Ministro guardasigilli: così come sarebbe uno dei suoi doveri inviare ispettori nelle Procure. Fa sorridere perciò Galli Della Loggia sul Corriere di oggi, il quale, dopo aver elencato tutte le storture dell’attuale magistratura, parte a testa bassa contro le supposte «liste di proscrizione» di Salvini e aggiunge che di denunciare tutto ciò dovrebbe occuparsi il giornalismo. Si, campa cavallo, il Corriere della sera di Sarzanini e di Ferrarella!
La mossa di Salvini reca poi una tempistica precisa. Colpisce la magistratura proprio nel momento in cui lo scandalo Csm sta mostrando a tutti quelli che già molti sapevano: che le nomine al suo interno sono assimilabili a guerre per bande.
Vi sono tuttavia molti più nessi tra le due vicende di quanto non appaia. Il legame principale sta nella mutazione del ruolo del magistrato, avvenuta proprio in quegli anni Settanta di cui scrivevamo all’inizio del pezzo. Fino a quel momento, la magistratura era stata guidata da giudici conservatori, autorevoli, con un robusto senso dello Stato, che nel Ventennio avevano in parte salvato la magistratura dalla intrusione del fascismo. Per quei magistrati il giudice era un servitore dello Stato che doveva applicare la legge. Nulla di più, ma neanche nulla di meno.
Negli anni Settanta, anche su spinta del Pci, cominciarono invece a muoversi magistrati «democratici» che contestavano i loro capi, giudicati reazionari (anche per prendere il loro posto) ma che soprattutto ribaltarono il ruolo della funzione del giudice: non più colui che applica la legge ma quello che, con le sue sentenze, ne introduce di nuove. Un magistrato custode dei «diritti» e della «legalità», attore politico che, con i suoi pronunciamenti, si schiera dalla parte degli «oppressi» (ieri il proletariato immaginario, oggi gli immigrati) e in ogni caso contro il potere: purché non fosse quello amministrativo locale del Pci, ben inteso. Basta leggersi i convegni di Magistratura democratica per farsene un’idea.
Secondo il proverbiale detto secondo cui la moneta cattiva scaccia quella buona, l’esempio della magistratura politicizzata, nato a sinistra, si estese poi a tutte le altre componenti, soprattutto perché, prima contro Craxi, poi con Mani pulite, quindi contro Berlusconi, tale modello permetteva di accedere alla celebrità mediatica, alla carriera politica e in ogni caso a più rapidi avanzamenti all’interno della gerarchia giudiziaria. A quel punto il mercimonio per rivestire l’ambito ruolo di consigliere del Csm e la lotta tra correnti furono cosa inevitabile.
Finché non capiremo che, in Italia, la magistratura non può risolvere i problemi perché è essa stessa uno dei problemi, non ci muoveremo di un passo.
Marco Gervasoni, 6 giugno 2019