Questa è la lezione essenziale da sottolineare magari ragionando sulla ristrutturazione necessaria ma federale delle nostre istituzioni. Forse in questo senso Beppe Sala il deludente sindaco milanese, quello dell’AperiCina, che preferisce occuparsi di pennarelli invece che dei vecchietti (come ci ha detto), ne ha – come l’orologio fermo che due volte al giorno segna il tempo giusto – ne ha detta una giusta quando ha invocato una nuova Costituente.
L’esperienza conferma che lo stato centralizzato italiano è irriformabile, ma probabilmente servono regioni più grandi delle attuali (forse quelle della Grande Italia rinascimentale per Carlo VIII: il ducato visconteo-sforzesco, la repubblica di Venezia, l’area medicea-pontificia e il regno delle Due Sicilie) accompagnate da una ricostruzione di “vere” province (quelle liquidate alla “cazzo” dai vari Bassanini e Del Rio), magari una trentina invece dell’ottantina attuale, che sorveglino ponti e collegamenti tra contado e città (tra Bergamo e Val Seriana per esempio), quelle cose che a enti più vasti sfuggono.