Politica

La sinistra che si riscopre patriottica fa solo ridere

Le opposizioni mostrano il tricolore in Parlamento. Loro che hanno sempre cercato di boicottarlo

Ma chi l’avrebbe detto, la sinistra italiana si riscopre patriottica. Non una novità, a sapere di storia recente: succede ogni volta che c’è da fare fronte contro un nemico immaginario, leggete qua un reperto archeologico di un reducista della vecchia cerchia dalemiana, Fabrizio Rondolino: “Negli anni Settanta, quando tutti si pensava alla rivoluzione, si aprì un dibattito surreale sul destino del Tricolore. I gruppettari sostenevano che bisognasse aggiungervi, all’indomani della vittoria, una bella stella rossa al centro, proprio là dove campeggiava lo stemma di casa Savoia; quelli della Fgci, invece, ritenevano che le tradizioni nazionali andassero rispettate, e che il Tricolore dovesse rimanere così com’era. In quegli stessi anni, sempre a sinistra, si adduceva il massiccio sventolio di tricolori ai comizi di Craxi come prova inequivocabile della deriva a destra del Psi”.

Quando tutti si pensava alla rivoluzione? Tutti chi? Tutti nella sinistra romantica e visionaria che sognava soluzioni castriste o cambogiane senza accorgersi che la robotizzazione metteva fuori gioco la classe operaia? Fu il grande abbaglio del brigatismo, volere piegare alla regressione preindustriale una società profondamente industrializzata, con tutte le crisi del caso e del tempo, da risolvere necessariamente col riformismo possibile. La sinistra allora si ingannava da sola con le solite divisioni patologiche e demenziali su quale tricolore, se puro o con la stella rossa sovietica, figurarsi. La verità è che per decenni, lungo il dopoguerra della ricostruzione borghese, la sinistra ha visto la bandiera tricolore, i simboli tricolori non come uno scontato simbolo identitario, sulla scia di tutti gli altri Paesi dell’occidente industrializzato, ma, in modo immaturo, settario, come una provocazione tipo generale Vannacci (e a volte lo era).

Se ti sfuggiva una bandierina sul golfino o sul giubbotto a scuola erano guai, in giro ti guardavano come un vecchio arnese collaborazionista, la vera patria era, restava la terza internazionale con i suoi equivoci e le riconversioni opportunistiche, dall’Unione Sovietica, leninista, alla nuova via della Cina maoista; erano le suggestioni fuori dal tempo e dalla logica. E questo vizio è duro a morire, è come un virus nel sangue comunista: ancora in tempi recenti, un reperto dell’antifascismo onirico come la rifondarola Lidia Menapace voleva abolire le Frecce Tricolori “perché mi danno fastidio, quel tricolore in cielo non lo sopporto”. Ma il tatticismo post comunista non ha limiti e urge far fronte comune contro “l’onda nera” della Meloni, who else?

Il solito stucchevole gioco del contarsi, del raggrumarsi, sapendo che non durerà. Ma il gioco è chiaro: hanno perso, numeri alla mano, in Europa ma a sentir loro hanno vinto e non c’è altra lettura e quindi tutti in piazza a specchiarsi, a dirsi siamo noi, i padroni del Paese siamo noi, il nostro è il patriottismo buono, fatto di migrantismo sfrenato, benedetto dal cardinal Zuppi, piace anche al Papa che sostiene il fratel Casarini che a bordo della Ong marinara ha “scoperto Cristo” e magari una via per uscire dallo squallore della trattoria di Marghera “Allo sbirro morto”. Ma a Bergoglio che lo sovvenziona va bene così, basta non essere della frociaggine seminarista.

Italiani, italiani veri quelli della sinistra post comunista, sempre un po’ comunista? Ma a chi vogliono darla a bere. Come per la faccenda dell’Ucraina, della guerra: fuori dalla Nato giammai, follia, ma questo è quello che conviene dire in Europa, dove c’è da mantenere il potere sclerotico dell’ammucchiata Ursula; altra cosa sono le sensibilità profonde, private, il putinismo nostalgico e l’antisemitismo che scappa sempre da qualche fianco, a Torino hanno appena trovato un professore di Fisica capace di allucinanti post in favore delle Brigate Rosse, per Hamas, per cancellare Israele dal mappamondo, e lo stesso dicasi “la martoriata Ucraina”, come dice Bergoglio. I piddini piemontesi sapevano tutto, sanno tutto ma nessuno si è scomodato a segnalarlo. Così come non segnalano, se non per faide interne, di potere locale, i centri sociali che fanno casino precisamente in spregio all’unità del Paese.

Che cosa è l’avversione contro Vannacci, egocentrico fin che si vuole, manovriero fin che si vuole, se non l’istinto atavico contro il tricolore, il parà che lo rappresenta e al quale vanno rotti i coglioni ogni volta che si può, “ma lei è fascista? Perché non si dichiara antifascista?”? Che cosa il carrierismo dei Saviano e gli Scurati che sull’antifascismo divisivo, in spregio a “una certa idea” di italianità, per niente fascista, se mai identitaria? Che cosa voleva dire la Murgia temendo, odiando le divise a prescindere, se non l’antica idiosincrasia per tutto ciò che sapeva di koiné, la eterna concezione, assurda, ipocrita, ma ostinata di un antipatriottismo che si riconosceva nella fallimentare idea di un socialismo risorgente prima o poi, europeo e globale?

Che significato può avere l’inchiestina coreografica, ridicola di Fanpage che pesca negli strati retrivi della destra ma si direbbe come per ispirazione, per mandato di una sinistra cui non va proprio giù l’idea di patria, di tricolore, magari facile, infantile, estetizzante ma è questo che non deve passare, la risorgenza fascista essendo una favola patetica, improbabile, cui nessuno può più credere salvo gli ultimi kamikaze nella jungla ideologica? I compagni ostentano una inedita sorgente sensibilità patriottica, si richiamano a Berlinguer e perfino, con sprezzo del ridicolo, a Togliatti, ma non fidatevi: è il solito balletto, stanno solo dicendo “il Paese siamo noi e lo Stato dobbiamo essere noi”.

E vanno al Pride a sgambettare sulle ariette di Annalisa, emblema di quella sottocultura consumistica occidentale che a parole detestano, che denunciano, ma cui non sanno rinunciare. Eternamente sospesi, scissi tra nostalgismo sovietista e americanismo opportunistico. Tutto fuor che l’Italia di cui sanno poco e si curano ancora meno.

Max Del Papa, 19 giugno 2024

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