Sbaglia chi pensa che il putiferio scoppiato in America dopo l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk non ci riguardi. Ci riguarda eccome, e molto da vicino, per diversi motivi: innanzitutto perché Musk è diventato, quest’anno, l’uomo più ricco del mondo con un patrimonio netto, stimato da Forbes, di 219 miliardi di dollari, e le sue iniziative imprenditoriali (Tesla, SpaceX e, adesso, Twitter) hanno giocoforza una ricaduta diretta sui nostri stili di vita. In secondo luogo perché, con l’acquisizione della piattaforma social, Musk sta giocando la partita più importante, quella della libertà di espressione in tutto il mondo.
Musk sotto attacco
Ieri è uscita sul “New York Times” una lunga storia dall’ambiguo titolo “Elon Musk ha lasciato un Sudafrica pieno di disinformazione e privilegi bianchi”. Originario di Pretoria, a Musk viene in pratica rimproverato di essere nato bianco e “al riparo dalle atrocità dell’apartheid”. A seguire, un’accurata ricostruzione dell’infanzia e adolescenza dei Pretoria Boys attraverso le testimonianze di compagni di classe e amici di cugini: “Nessun bianco ha subito le percosse e gli spari delle forze di sicurezza statali come i bambini neri che stavano combattendo per i diritti fondamentali nelle scuole cittadine”.
Poi, le accuse degli uomini di colore coetanei di Musk: “La maggioranza dei bianchi era beatamente ignorante e felice di essere beatamente ignorante”. Chiosa finale sull’inchiesta dello Stato della California, secondo il quale Tesla ha permesso la discriminazione razziale nella sua fabbrica nell’area di San Francisco. Musk, insomma, è un razzista.
L’affondo di Bill Gates
A dare un altro duro colpo all’immagine del miliardario sono giunte anche le pesanti parole di Bill Gates, che nel rank di “Forbes” delle persone più ricche del mondo si è classificato “solo” quarto. In un panel organizzato dal “Wall Street Journal” ha dichiarato che, con la nuova gestione di Musk, Twitter “sarà peggiore” perché “se Musk intende qualificare come ‘free speech’ anche la disinformazione sui vaccini che uccidono e le bufale su di me che traccio le persone, allora non va bene”, ha detto Gates. Le sue pesanti dichiarazioni fanno seguito a uno scambio di messaggi privati, poi resi pubblici dal “New York Times”, tra l’ex proprietario di Microsoft e il boss di Tesla, avvenuto alla vigilia dell’offerta di Musk per Twitter. Gates lo aveva invitato a discutere di filantropia sui cambiamenti climatici, Musk ha rifiutato l’invito accusandolo di azioni ostili (“massive short position”) contro Tesla.
Danno d’immagine a cura liberal
Attaccare direttamente la brand reputation di Twitter non comporta soltanto un danno diretto d’immagine per Musk, ma anche e soprattutto per il social che, solo nel 2021, ha raccolto 4,5 miliardi di dollari in pubblicità. E la pubblicità a Twitter vogliono toglierla anche le più importanti associazioni americane di attivismo liberal: tre giorni fa, in occasione della Conferenza annuale sulla Pubblicità Digitale, l’associazione Media Matters for America ha scritto una durissima lettera ai maggiori brand americani come Coca Cola, Disney, Apple, Kraft e tanti altri, diffidandoli dal fare pubblicità su Twitter: “Rischiate di associare la vostra immagine a una piattaforma che diffonde odio, estremismo, disinformazione e teorie complottiste”.
Dunque, boicottatela. Sarà sicuramente un dettaglio che Media Matters, nata come ‘watchdog’ dell’informazione super partes, ha smesso da tempo di perseguire quell’obiettivo, essendosi posizionata al centro di un gruppo di lobbying e advocacies la cui missione dichiarata è stata quella di piazzare Hillary Clinton alla Casa Bianca nel 2016.
Cosa rischia Musk, accerchiato dalle lobby più potenti del pianeta, a parte una character assassination diretta alla sua persona? Certamente un calo della pubblicità, e degli utenti, su Twitter. In secondo luogo, un danno d’immagine della piattaforma, finora ritenuta di nicchia, sì, ma di qualità, perché frequentata da intellettuali e opinionisti di tutto il mondo, che influenzano e orientano le decisioni dei governi in quel perverso meccanismo che di fatto esclude la società reale dalla costruzione delle nuove policies.
Infine, e questo ci riguarda direttamente, siccome la condizione per mantenere alta la reputazione di Twitter è di contenere il free speech, anziché incoraggiarlo, Musk si trova incastrato tra la volontà di realizzare uno spazio d’informazione davvero libero e il rischio che il mega investimento di 44 miliardi di dollari su Twitter si riveli un bagno di sangue, spodestandolo rapidamente da quella prima posizione nella classifica di “Forbes” conquistata a sorpresa quest’anno.
Maddalena Loy, 6 maggio 2022