Non sappiamo se Romano Prodi condivida lo stesso profondo ideale della gentile signorina Giulia che, alla manifestazione «antirazzista» milanese dello scorso sabato, ha esposto un cartello con la massima «meglio puttana che fascista e salviniana». Però l’ex premier ed ex presidente della Commissione europea è rientrato anche lui in gioco e ha confessato, sì, di ritenere Salvini «razzista». Un passo che la finta bonomia di Prodi gli aveva sempre trattenuto da compiere. Cosa è successo?
È successo che è stato eletto Nicola Zingaretti. Un risultato scontato, come sempre nelle primarie Pd, ma non in quella dimensione. E con Zingaretti è stato cancellato Renzi ed è tornata l’Unione: la formula che governò, si fa per dire, l’Italia dalla primavera del 2006 al gennaio del 2008 e che Veltroni credeva di avere sepolto per sempre con la nascita del Pd a «vocazione maggioritaria».
Unione vuole dire che attorno al Pd, partito solo di poco più robusto degli altri, si costruiranno alleanze che andranno dai «cattolici democratici», i «liberali» e i radicali sul suo fianco destro, a ecologisti, neocomunisti e grillini fichiani sul versante sinistro. L’Unione era tenuta in piedi solo dall’avversione, morale prima che politica, a Berlusconi. La «sinistra larga» (come si chiamerà ora) pure. O quasi, perché al posto di Berlusconi c’è Salvini, come nuovo uomo da abbattere.
Perché questo rassemblement eteroclita e privo di un proposta unificante stia insieme serve infatti il collante del nemico, e non può più essere l’anziano leader, ora peraltro da quelle parti persino rivalutato. Ma deve essere qualcuno di più pericoloso per le sorti dei ceti e delle corporazioni che sostengono la «sinistra larga»: appunto Salvini.
Il rassemblement eteroclita si tiene in piedi solo a una condizione: che si convincano militanti ed elettori di un’emergenza, di una minaccia tale da mettere tra parentesi le differenze programmatiche e culturali che li dividono. Allora la sinistra gridava all’emergenza, morale soprattutto, del Caimano, oggi a quella del fascismo, incarnato da Salvini. Certo, anche Berlusconi si era appioppato, e fin da subito, l’accusa di fascista, ma nel caso di Salvini essa è potenziata da tre fattori, in Berlusconi assenti o meno evidenti.
Fattore 1: il «razzismo». Diversamente da quanto ritiene Prodi, il ministro dell’interno non è certo razzista. Ma nel codice della nuova/vecchia sinistra, razzista è chiunque ostacoli l’immigrazione incontrollata (ragion per cui anche lo stesso Minniti si era meritato l’epiteto).
Fattore 2: l’«autoritarismo antidemocratico». Naturalmente Salvini non è autoritario. Ma nel codice della nuova/vecchia sinistra, autoritario è chiunque ritenga che, tra i delinquenti e la gente comune, sia più dignitoso schierarsi per i primi, che avranno pure le loro ragioni (povertà, emarginazione ecc.)
Fattore 3: «l’antieuropeismo». Salvini non vuole distruggere la Ue, ma nel codice della nuova/vecchia sinistra «anti-europeo» è chiunque critichi la demenziale gestione di questi anni e voglia riportare il fulcro delle sovranità verso le nazione.