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La sinistra e il monopolio del bene

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La politica italiana mi mette tristezza, angoscia, noia. Spero, però, che nessuno voglia istituire una commissione parlamentare per lenire gli stati d’animo che necessariamente accompagnano ogni nostra condizione, ora di letizia, ora di mestizia. Dopotutto, questo stato d’animo di latente depressione non si cura né con farmaci né con analisi ma con la santa laicità. Il “male oscuro” della politica italiana è la sua invincibile ritrosia alla laicità. Norberto Bobbio amava ripetere che in una democrazia (liberale) il monopolio della forza non può e non deve coincidere con il monopolio della verità. Aggiungo, con modestia, che l’idea stessa dell’esistenza del monopolio della verità è comica.

Le funzioni della Commissione Segre – che prende il nome dalla senatrice Liliana Segre alla quale porto il mio affetto e il mio rispetto e il mio ascolto, come altre volte ho fatto con Sami Modiano sopravvissuto come la senatrice Segre al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e ospitato varie volte alla Biblioteca Melenzio di Sant’Agata dei Goti – pur avendo lo scopo di contrastare i fenomeni di intolleranza, razzismo e antisemitismo si sovrappongono a leggi già esistenti e, soprattutto, prefigurano l’introduzione di nuovi reati d’opinione.

Ma – ed è qui il punto dolente – chi sarà in grado di porre la differenza tra opinione e reato? Chi avrà la capacità di dimostrare che una cattiva idea è un atto violento? Chi avrà la facoltà di distinguere tra sentimento, risentimento, odio, amore, intenzione e azione? Potrà farlo solo chi riterrà di avere o solo chi riunirà nella sua autorità proprio i due monopoli della forza e della verità. Ma far coincidere il monopolio della forza con il monopolio della verità è, come ammoniva Bobbio, proprio ciò che non si può e non si deve fare se si vuole vivere in una democrazia (liberale). È, in altre parole, il classico rimedio peggiore del male.

Dispiace ricordare concetti che sono l’abc non solo del liberalismo ma anche della decenza e del buonsenso. Se accade è perché in Italia la cultura politica non ha mai fatto realmente i conti seriamente con la storia del Novecento. Nella cultura politica italiana è sempre in servizio permanente effettivo il paradigma dell’antifascismo, ma la lezione che ci viene impartita da “il secolo delle idee assassine” è che essere antifascisti non basta per vivere civilmente. Ancora Bobbio ci ha detto che tutti i democratici sono antifascisti ma non tutti gli antifascisti sono democratici. Per essere democratici a tutto tondo è necessario essere anti-totalitari ossia tanto antifascisti quanto anticomunisti. Invece, questo tasto in Italia non lo si vuol mai toccare con sincerità e con rigore e così la politica non maturando una vera cultura anti-totalitaria è sempre esposta al rischio del meccanismo totalitario che si ripresenta in varie versioni in cui qualcuno pensa di poter incarnare il monopolio del bene.

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