Guai a sottovalutare la candidatura di Éric Zemmour all’Eliseo, come fanno un po’ tutti i media italiani che la riducono a elemento di folklore o a rigurgito “sovranista” fuori tempo massimo. Certo, Zemmour è un’invenzione dei media, che lo hanno coccolato e ospitato in questi anni e hanno fatto crescere le sue velleità: da brillante giornalista a uomo politico, anzi addirittura ad aspirante Presidente della Rèpublique. E certo è anche e soprattutto un personaggio molto mediatico, postmoderno se volete, ad esempio nel modo in cui semplifica ed estremizza così tanto il suo messaggio politico da far apparire addirittura Marine Le Pen una moderata.
D’altronde, il postmoderno non è altro che questo: la capacità di unire l’uso dei più moderni mezzi di comunicazione, e anche di marketing politico (si pensi a come la sua “discesa in campo” si sia accompagnata ad una sorta di suspence creata ad arte), con un messaggio antico, forse addirittura premoderno e senza dubbio antilluministico. L’altra Francia, provinciale e legato alle tradizioni, che ha fatto sempre da contraltare a quella dei lumi, mostrando alla prova dei fatti quel buon senso che alla seconda è quasi sempre mancato. Un messaggio, quello di Zemmour, che perciò assume il carattere del vintage, come il video postato in rete ieri mostra con perfetta eloquenza di immagini oltre che di parole.
Ma, ripeto, guai a sottovalutare la candidatura di questo colto giornalista di Le Figaro di origine ebraica e di mezza età. Perché la sua candidatura si pone all’incrocio di un gioco di domanda e offerta che vede protagonisti prima di tutto i francesi. I quali sono esasperati di quanto hanno visto in questi ultimi anni – dal terrorismo islamico al degrado delle banlieue, dalla disoccupazione montante alla messa in scacco dei cristiani (e anche degli ebrei) – e sognano quell’armonia perduta della Francia di un tempo basata su valori che sembravano inscalfibili e che ora si sono semplicemente annullati in una situazione di disgregazione sociale che è sotto gli occhi di tutti. Ci sarà pure molto del tradizionale sciovinismo francese, e anche qualche nostalgia di una perduta grandeur, in tutto questo, ma ciò non toglie che molti francesi vogliono voltare pagina ritornando all’indietro. Probabilmente è una pretesa irrealizzabile, e persino forse velleitaria: salvare la Francia, piuttosto che riformarla, è salvare qualcosa che con lo scorrere della storia si è già irrimediabilmente perduto. Le lancette dell’orologio non tornano indietro. Ma segnalare il disagio e l’esito nichilistico a cui è andata incontro la ragione progressista e laicista significa anche appellarsi a un nuovo inizio che eviti accuratamente quella deriva multiculturalista che ha portato la Francia ove ora, e cioè in un brutto posto. E che il “tecnico” Macron, senza storia e senza “supplemento d’anima”, non poteva certo garantire risolvere.
Chi scrive non crede che Zemmour possa essere una soluzione per la Francia: può però essere uno stimolo a creare un’offerta politica che tenga conto dei problemi veri dei francesi che egli ha sollevato e del disagio di cui si fa portatore. Ora, la prossima mossa tocca ai gaullisti, che devono ancora esprimere il loro candidato. Zemmour può aiutarli a non strizzare più l’occhio a sinistra e a farli essere quello che storicamente sono stati in passato: una forza conservatrice, repubblicana, liberale. Dio sa quanto ce ne sarebbe bisogno non solo per la Francia, ma anche per gli equilibri in Europa!
Corrado Ocone, 1° dicembre 2021