Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.
Bret L. Stephens, già editorialista del Wall Street Journal e del Jerusalem Post, è un provetto commentatore del New York Times dal 2017, di orientamento conservatore che, pur solidamente antitrumpista, non cerca di nascondersi la realtà. Interessante in questo senso un suo articolo del 25 maggio che cerca relazioni tra le recenti elezioni brasiliane, filippine, israeliane, australiane e indiane, tutte vinte dalla “destra” e si spende anche in qualche previsione sulle europee, dando per scontata una probabile affermazione di Nigel Farage.
Il filo che legherebbe le citate “vittorie” sarebbe il rifiuto dell’ideologia “loro” vengono prima di “noi”: gli immigrati prima dei nativi, il globale prima degli interessi nazionali o locali, le minoranze etniche o anche sessuali prima della maggioranza della popolazione, il trasgressivo prima di chi si attiene a una morale naturale. Sarebbe in atto una rivolta contro chi dice: pagate un visibile prezzo per un bene che si realizzerà nel lungo periodo e non è ben identificato, nascerebbe dalla totale insofferenza per chi pretende di indicare il “bene necessario”, mentre sarebbero “gli altri” che ne dovrebbero pagare i costi. In questo senso Stephens riporta uno degli slogan fondamentali dei gilet jaunes: “Macron è preoccupato per la fine del mondo, noi per la fine del mese”.
Sarebbe dunque in atto una potente tendenza politica che l’opinionista del Times sospetta porterà alla rielezione di Donald Trump, a meno di catastrofi economiche o in politica estera per gli Stati Uniti.
Si dirà che l’attuale amministrazione americana – prosegue il commentatore – ha aspetti veramente vergognosi. Ma la sinistra avrebbe un problema più grave: una sensazione di possedere una fondamentale superiorità morale che le fa perdere il rapporto con la gente in carne e ossa.
Eppure con Tony Blair e Bill Clinton aveva governato una sinistra diversa, scrive sempre Stephens. Ora invece si avvia a perdere perché rappresenta un’opposizione ancora meno attraente delle pur pericolose derive della destra.