Pensavamo, ingenuamente, che il livello del nostro deficit pubblico fosse una questione tecnica. Queste ultime ore ci hanno fatto capire come sia soltanto politica. Alcuni economisti di stampo keynesiano ritengono che in un momento di crisi (ma quando non lo siamo?) sia conveniente spendere più di quanto si ha in cassa, infischiandosene dei debiti che si contraggono. Altri più rigorosi, e sentendo il peso del debito accumulato dal passato, ritengono invece che oggi la spesa pubblica produca benefici immediati risibili, e invece costi sociali in prospettiva enormi. In mezzo i pragmatici, che ci sembrano i più ragionevoli. Se deficit si deve fare, almeno si faccia per ridurre le imposte e non per congegnare nuovi piani di spesa pubblica. Secondo il principio intuitivo per il quale un euro restituito ai contribuenti ha più valore di un euro prestato ai burocrati.
Ma, appunto, si tratta di questioni tecniche. Mai come in queste ore, dicevamo, è diventato del tutto chiaro che la questione del deficit pubblico italiana, è soprattutto politica. Qualcuno si ricorderà la passata Finanziaria giallo-verde e quell’asticella imposta al 2 per cento. Poi diventato 2,04. Abbiamo letto tonnellate di articoli, dichiarazioni e pensose riflessioni sui rischi che correvamo nell’allargare il nostro deficit. La critica non andava alle misure pensate dal passato governo, ma al numeretto in sé. Oggi improvvisamente il deficit non è più un problema. Ci si compiace del fatto che la nouvelle vague del governo renda più accettabili in Europa sforamenti del deficit. Anche se nessuno sa per quali fini. Chi pensa alla riduzione del cuneo fiscale, chi a nuove assunzioni e programmi di spesa sociale.
Ma il punto non sono gli interventi: è il numeretto magico. Oggi richiedere all’Europa maggiore flessibilità, così si dice, non è più un problema. Come peraltro non lo è stato per tutti i governi precedenti. Il giro di valzer questa volta è talmente repentino che è sfacciato. Sarebbe più serio, come dicono quelli che scrivono e pensano bene, che si dicesse chiaro e tondo, ad esempio, che maggiore deficit per fare la flat tax non è accettabile, ma per assumere i precari della pubblica amministrazione invece sì. Almeno si tratterebbe di un dibattito tecnico e se volete politico, nel senso più alto del termine.
Niente di tutto ciò sta avvenendo. Oggi i commissari europei sono disponibili ad aiutare l’Italia. Dicono. In realtà sono disponibili ad aiutare questa maggioranza. Che a sua volta sarà a loro disposizione.
Nicola Porro, Il Giornale 7 settembre 2019