La Confedilizia, sempre attenta agli affari che riguardano le nostre case, ha notato, nel silenzio generale, una recente proposta del Fondo Monetario Internazionale. L’ente sovranazionale ha consigliato ai governi italiani di tassare la prima casa, e per questa via recuperare 8 miliardi di euro. Il presidente dei proprietari di casa, Giorgio Spaziani Testa, nota che il nuovo gravame fiscale si andrebbe a sommare alle patrimoniali già esistenti, che fruttano tra Imu e Tasi, 21 miliardi di euro. Ad ottobre l’agenzia di rating Moody’s da una parte rivedeva il suo giudizio sull’italia, dall’altra adombrava l’opportunità di una patrimoniale. Che dalle nostre parti vuole essenzialmente dire imposta straordinaria sugli immobili. Occorre infatti ricordare che piú del 70 per cento degli italiani ha una casa di proprietà. Sono, di fatto, il nostro fondo pensione, che proprio per questo motivo da noi non sono mai decollati davvero.
Il Fmi, le agenzie di rating, molti centri studi internazionali sono comprensibilmente preoccupati dell’andamento dell’economia italiana. E fanno bene. Una crescita dello 0,2% non è una crescita del Pil, è un errore statistico. Non crea ricchezza e tanto meno occupazione.
La cosa incredibile, parafrasando Maffeo Pantaleoni, è l’imbecillità delle soluzioni adottate. Un bambino, neanche troppo grande, capirebbe come ad una famiglia in difficoltà, chiedere più soldi su un cespite (la casa) che non produce ricchezza, ma anzi brucia cassa, sia una follia. Ma questi economisti fenomenali hanno, per un secondo solo, ragionato cosa comporterebbe oggi mettere una nuova tassa (in realtà si tratterebbe di rispolverare la vecchia Ici) sugli immobili per ricavarne otto miliardi? Abbiamo un livello di tassazione tra i piú alti al mondo, abbiamo imposte locali in aumento, patrimoniali dietro ogni angolo, reddito disponibile falcidiato da contributi e gabelle, e a ció aggiungiamo una situazione economica di stagnazione (se ci va bene), e questi vogliono sottrarre dalle nostre tasche altri otto miliardi.
La cosa è grave non per la sua imminenza, ma per l’incapacità di comprendere la realtà che hanno gli economisti mainstream. Sono dei contabili, non hanno alcun rispetto delle aspettative, del mercato, degli incentivi. Ragionano su grandi aggregati macro, come se avessero una vita a sè, senza considerare che essi sono solo la somma algebrica di milioni di scambi, interessi, convenienze, utilità micro. È il trionfo dei modelli e della matematica e la morte del ragionamento.
Tassare un immobile non è un bene o un male in sè, dipende dal contesto. Certo per Einaudi si tratta comunque di una doppia tassazione, prima tasso il reddito e poi colpisco di nuovo ciò che resta. Il contesto dicevamo. In quattro anni (2017-2020) le entrate passeranno da 794 miliardi ad 860: altro che gli otto miliardi del Fmi. Le finanze si porteranno a casa quasi settanta miliardi di gettito in piú. È tutto scritto nei documenti governativi approvati da questo governo ad ottobre dell’anno scorso.
Un essere pensante dovrebbe al contrario consigliare ai governi italiani di smetterla: ridurre, tagliare, ma con la mannaia. E non consigliare ció che abbiamo già provato e che grazie al Cielo abbiamo abbandonato con morti e feriti. A coloro che obiettano che il problema risiede nel nostro mostruoso debito pubblico, si deve rispondere che ciò è vero, ma che per tagliarlo (in proporzione al nostro Pil) gli aumenti di tasse non servono. Dal 2007 al 2014, nonostante dure politiche fiscali, esso è cresciuto dal 99,8 per cento al 131,8% del Pil. Per farlo scendere proviamo una strada diversa: tagliamo tasse e spese.
Nicola Porro, Il Giornale 9 febbraio 2019