La Stasi di Speranza e la rivincita del comunismo

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Il cortocircuito politico-temporale è definitivo, ma va in onda così, nella serata ovattata di Che tempo che fa, viene accompagnato dal sorriso servizievole di Fabio Fazio e dall’ennesima battuta che non fa ridere della Littizetto.

Segnalazioni

“Quando c’è una norma, questa va rispettata e gli italiani hanno dimostrato di non aver bisogno di un carabiniere o di un poliziotto a controllarli personalmente”, esordisce il ministro della Salute (definizione già orwelliana, quando l’unico ministero in uno Stato di diritto dovrebbe essere quello della Sanità) Roberto Speranza, quasi rimpiangendo di non aver potuto finora violare del tutto i paletti di una democrazia liberale. “Ma”, si rinfranca subito il giovane-vecchio che vorrebbe tanto aver vissuto gli anni d’oro del socialismo reale, “è chiaro che aumenteremo i controlli, ci saranno le segnalazioni”. No scusi, ministro Speranza (un caso capovolto di nomen omen), non è chiaro, almeno Costituzione repubblicana alla mano.

In che senso, “ci saranno le segnalazioni”? Un membro di primo piano del governo, titolare di un dicastero ancor più centrale in era di epidemia, sta incentivando i cittadini alla delazione? Sta invocando lo spionaggio casalingo reciproco, sta incoraggiando la denuncia dei devianti, dei non conformi all’ortodossia di Stato tra le mura domestiche, sta resuscitando, qui e ora, nell’Italia del 2020, una nuova normalità da Ddr, da Germania Est degli anni Ottanta?

Più si sente (s)ragionare Speranza, più purtroppo sono domande retoriche: “Proveremo a incidere su alcuni pezzi della vita delle persone che consideriamo non essenziali. Ci sono cose che sono fondamentali e cose che non sono fondamentali”. Ah sì, e chi le decide, lei, chiuso nel postsovietico Ministero della Salute, insieme a quel Politburo contemporaneo che è il Comitato Tecnico-Scientifico? “Proveremo a incidere su alcuni pezzi della vita delle persone che consideriamo non essenziali”. Lo riscriviamo, perché dobbiamo stamparcelo nella testa, nel salotto mieloso di Fabio Fazio(so) qualunque enormità scorre via come acqua fresca, anche se è veleno puro. Vogliono incidere su pezzi della mia vita, questi nipotini funerei di Stalin, l’esistenza individuale come carne di porco per le loro manie pianificatorie.

Ritorno del comunismo

Certo, su quelli inessenziali, non è (ancora?) gulag, è totalitarismo soft, ipocrita, perbene, Speranza e Fazio dove una volta c’erano Breznev e Honecker, è spoliazione continua ed estenuante della libertà, “pezzo di vita” per “pezzo di vita”, è assuefazione a questo linguaggio inquisitoriale che un tempo avrebbe scatenato le ire dei “liberali” (oggi in gran parte acquattati al caldo del regime sanitocratico di questi persecutori in doppiopetto).

È, parliamoci chiaro, almeno noi, ritorno del comunismo, a trentuno anni dal crollo del Muro, festeggiato stoltamente da Fukuyama e da certa élite occidentale come “fine della Storia”. La Storia non finisce mai, al massimo torna indietro, e oggi Roma è come Berlino Est quattro decadi fa, ci sono ministri e anche primi ministri (se Conte non smentisce, è corresponsabile della deriva psico-poliziesca finale) che hanno un’idea della convivenza civile analoga a quella che coltivava la Stasi.

Il Grande Occhio, Grande Orecchio e Grande Repressore, che nel 1989, poco prima della disgregazione, si stimava annoverasse una spia ogni 83 abitanti. Se lo ricordate a Speranza, noterete senz’altro una lacrimuccia di nostalgia. Il Muro è caduto, il comunismo è qui, sotto casa. E ce lo vogliono portare perfino dentro, per farla finita col vizio borghese e reazionario delle “feste private”. Aiuto.

Giovanni Sallusti, 12 ottobre 2020

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