Il caso Ilva nasce il 2 agosto del 2012 quando sequestrano la più grande industria di acciaio, tra le più grandi d’Europa, forse la seconda, e soprattutto vanno ingiustamente contro alla famiglia Riva che faceva un sacco di investimenti, persino sull’ambiente.
Dal 2 agosto del 2012 il sottoscritto, che non è un genio o un PhD di Harvard (per fortuna), ha detto un cosa molto semplice: è morto l’acciaio in Italia. Da quel giorno sono passati 12 anni, 37 ministri e i vari presidenti del Consiglio hanno approvato una dozzina di decreti “salva Ilva”. Ma non ci hanno capito un corno: un’azienda privata si salva solo con un imprenditore privato, non con questi accrocchi statalisti.
Hanno distrutto l’Ilva perché questi comunisti, compreso il Sole 24 ore e la Confindustria che è stata zitta, hanno espropriato l’Ilva ai legittimi proprietari, invece di chiedergli di fare più investimenti e di chiudere i campi a carbone.
Invece di pretendere dal privato quello che avrebbero potuto e dovuto pretendere, che cosa ci hanno raccontato? Che muoiono migliaia di persone. E oggi sapete che cosa c’è di nuovo?
- Che è morta l’Ilva e pagheremo noi contribuenti questa disfatta.
- Che andremo a comprare l’acciaio dai cinesi, senza poterlo neanche far passare per il canale il Suez perché là ci devono difendere gli americani.
- Che continueremo ad inquinare perché, come abbiamo visto a Bagnoli, quando i siti produttivi vengono abbandonati inquinano ancora di più.
Che cosa abbiamo ottenuto allora? Niente. Giornalisti, magistrati e opinionisti ci hanno raccontato tutte idiozie non capendo che un alto forno non può farlo gestire un commissario o un manager qualunque, ma solo ad una famiglia che investe soldi e risorse.
Nicola Porro, dalla Zuppa di Porro del 13 gennaio 2024