Dopo il pacifico incontro con Nicola Zingaretti, hanno creato grattacapi nella base leghista pasionaria, ieri, le parole distensive di Matteo Salvini, sulla necessità di “sostenere” Roberto Speranza e “aiutare” Domenico Arcuri. Davvero la Lega si è calata le braghe, per stare al governo con un ex banchiere centrale e gli acerrimi nemici di Pd, Leu e M5s?
Le cose non stanno esattamente così e, a breve, vedremo perché. Ma intanto, è necessario inquadrare le coordinate del problema.
Manovra a tenaglia
Il sostegno del Carroccio a Mario Draghi ha sparigliato i piani dei giallorossi, i quali pensavano di battezzare un Conte ter per interposta persona, sostituendo i renziani con Forza Italia. Per questo, la Lega è stata resa oggetto di una manovra a tenaglia, culminata in un doppio blitz: il decreto con cui Speranza ha sepolto la stagione sciistica e il pressing di Walter Ricciardi per il lockdown perenne. L’allarme sulla variante inglese, di cui si parla da ottobre, ma che solo adesso, improvvisamente, è diventata un’emergenza nazionale, è stato poi cavalcata ad arte dai giornali e telegiornali unici del virus.
L’obiettivo è duplice: marginalmente, indebolire la leadership di Salvini all’interno del partito, nel momento in cui gli sfidanti ritengono – probabilmente a torto – che la sua linea “lepenista” stia perdendo terreno, rispetto a quella più moderata ed europeista, che fa capo a Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia. Ma soprattutto, provocare il Carroccio, creare l’incidente di percorso, far riemerge l’anima dinamitarda dei sovranisti, così da costringere il premier a metterli all’angolo come reietti.
Non che le prime iniziative di Mr Bce abbiano lasciato presagire l’intenzione di segnare una qualche discontinuità, rispetto all’andazzo del Conte bis. Il punto è che, in questi giorni, si giocava una partita cruciale: oggi c’è il primo discorso programmatico di Draghi e, nell’ottica della sinistra, bisognava impedire che i leghisti mettessero il cappello sul nuovo inquilino di Palazzo Chigi.
Evitare la trappola
È a questa subdola offensiva, che Salvini ha dovuto ideare un contrattacco. Era escluso lo scontro aperto, che rappresentava, appunto, l’esito cercato dai provocatori. Sarebbe bastato pochissimo per ribaltare la frittata contro il capo leghista: ecco il Truce, che pensa solo all’interesse di partito e tradisce lo spirito di unità nazionale, invocato da Sergio Mattarella. Per questo, dopo gli strali di Massimo Garavaglia, Salvini ha gettato acqua sul fuoco. Così, finora, gli unici ad aver strapazzato il mandato del Quirinale sono proprio Pd e Leu. Ovviamente, non è possibile neppure un appeasement integrale: ecco perché, ieri, l’ex ministro dell’Interno ha riacceso un po’ la miccia, dicendo che “di irreversibile c’è solo la morte”, di sicuro non l’euro.
Vedremo che toni userà a Palazzo Madama, dove oggi si voterà la scontata fiducia a Draghi. Ma è chiaro che, se vuole sperare di conservare voce in capitolo nell’agenda dell’esecutivo, la Lega dovrà conquistare la trincea giallorossa battendo gli avversari sul terreno del fare. Dribblare le provocazioni, scongiurare ogni casus belli, senza appiattirsi al centro, per infilare qualche provvedimento di bandiera nell’agenda di governo.
Il Salvini “moderato” o “responsabile”, insomma, non è una sconfessione del Salvini barricadero, quanto un camouflage tattico per spuntare le armi del nemico. La scommessa è rischiosissima. Ma proprio il presidente del Consiglio può avere due ragioni per giocare di sponda con il Carroccio.
Primo: se non vuole trasformarsi nel paravento di un esecutivo teleguidato dal capo dello Stato, dovrà correggere le sbandate a sinistra. Secondo: se vuole scalare il Colle, con Mattarella che potrebbe ambire a un bis, date le perplessità dei grillini e di un pezzo di Partito democratico, proprio il centrodestra diventerebbe un suo prezioso alleato. La partita a scacchi è appena cominciata.
Alessandro Rico, 17 febbraio 2021