Non è un bel momento per gli alfieri del green, per quelle persone che si sono tatuate il Green Deal sulla pelle, coloro che identificano nel maschio bianco occidentale il male assoluto, fischiettando quando c’è da parlare di Cina e India. Se i dati confermano che il consumo di carbone è raddoppiato negli ultimi trent’anni, i big dell’energia non sembrano intenzionati a invertire il trend per il momento: i colossi del calibro di Exxon, Shell, Equinor e Bp hanno inserito le fonti fossili al centro delle strategie, sospendendo i programmi su rinnovabili e taglio delle emissioni di Co2.
Il petrolio resta al centro di tutto, con buona pace dei talebani del green. Anche quei gruppi che hanno provato a cavalcare la transizione energetica sono costretti a una mezza retromarcia, cancellando così gli obiettivi di riduzione delle emissioni in programma. Come evidenziato dall’Avvenire, i numeri non lasciano molti margini di interpretazione: la domanda globale di carbone crescerà dell’1% nel 2024, raggiungendo il massimo storico di 8,77 miliardi di tonnellate. A livello regionale, la Cina è pronta a centrare un altro primato: la domanda di carbone dovrebbe crescere dell’1 per cento nel 2024 per raggiungere i 4,9 Bt (miliardi di tonnellate). L’India non può certamente mancare, con un rialzo della domanda di oltre il 5 per cento a 1,3 Bt. E l’Occidente? Se per qualche solone Stati Uniti e Europa rappresentano il vero problema per l’ambiente, i dati segnalano che la richiesta di carbone è in ribasso, anche se a un ritmo significativamente più lento.
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Le scelte dei big dell’energia sono una naturale conseguenza. Nel suo ultimo piano industriale, la Exxon ha proposto di aumentare la produzione di petrolio e gas, che dovrebbe raggiungere i 5,4 milioni di bdp. In soldoni, si tratta di un rialzo di circa il 18 per cento rispetto agli attuali 4,58 bpd. E la major statunitense non intravede la luce in fondo al tunnel per quanto concerne le riduzioni delle emissioni globali di carbonio: secondo gli esperti della società i progressi tecnologici permetteranno le riduzioni delle emissioni solo a partire dal 2029. Passando all’Europa, sono tre i colossi che hanno annunciato un ridimensionamento degli investimenti nelle rinnovabili: parliamo di Bp, Equinor e Shell. Tutte e tre hanno sancito di dirottare i fondi nuovamente sul petrolio, e tanti saluti agli obiettivi ambientali.
Ma del resto nessuno può dirsi veramente sorpreso. Nel suo recente report per l’Europa, l’ex primo ministro italiano Mario Draghi aveva evidenziato come “la perdita di competitività avrebbe avuto come inevitabile prezzo da pagare la rinuncia ad importanti obiettivi, sia climatici sia di crescita economica”. Emblematico il caso della Bp: la società, tra le prime a puntare sulla transizione green, ha deciso di mettere un freno agli investimenti nel settore della produzione di idrogeno e di cedere le attività nel settore dell’energia solare ed eolica. Sembrano passati decenni da quando, nel 2020, i vertici annunciavano il taglio del 40 per cento della produzione di petrolio entro il 2030, investimenti decuplicati in asset low carbon, stop alle nuove esplorazioni di giacimenti fossili in nuovi Paesi, taglio del 30-35% delle emissioni operative e del 35-40% nel segmento upstream.
E c’è un altro fattore di cui tenere conto: il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il presidente eletto non ha mai nascosto le sue posizioni in materia di energia, dossier che sarà seguito dal petroliere Chris Wright, noto per ritenere la centralità dei combustibili fossi nel progresso economico dell’umanità. La strada è tracciata…
Franco Lodige, 21 dicembre 2024
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